Questa volta l’Amleto culinario affronta un dilemma di gusto estetico e non meramente palatale.
Belli o brutti? I monumenti più controversi di Roma
A sorpresa nella top 10 list redatta qualche tempo fa dalla CNN sui monumenti più brutti del mondo, figura addirittura all’ottavo posto un manufatto italiano, inaugurato di recente, ironia della sorte, proprio nella città della “Grande Bellezza”: la controversa statua di Papa Giovanni Paolo II intitolata “Conversazioni” alla stazione Termini, opera dello scultore Oliviero Rainaldi che ancora oggi continua a suscitare polemiche sulla sua (presunta) mostruosità, tanto da costringere l’autore a più di una modifica per placare le ingenerose critiche dell’opinione pubblica.
Ma chi stabilisce la valenza estetica di un’opera, se si tratta cioè oggettivamente di un progetto mal riuscito oppure di un capolavoro incompreso? Nessuno ovviamente, perché la “bellezza è negli occhi di guarda” come dicevano gli antichi Greci, maestri insuperati della disciplina estetica… Anche se alcune opere, al di là dei pregiudizi o pareri squisitamente soggettivi, per alcuni difetti o peculiarità sollevano inevitabilmente delle perplessità in chi le osserva.
A Roma è decisamente il caso del Vittoriano, probabilmente il monumento più vituperato della città per via della mole gigantesca, amplificata dal colore candido, che gli ha valso gli appellativi di “macchina da scrivere”, “torta nuziale” e via (mal) dicendo. Gli stranieri invece adorano la sua imponenza, comunque troppo ingombrante se si considera che l’Altare della Patria sorge proprio nel cuore della città antica e quindi risulta invasivo ed incoerente, e non solo in termini cronologici, con il paesaggio circostante. Ma l’effetto scenografico è senza dubbio di grande impatto.
Similmente il Palazzaccio, sede della Corte di Cassazione, così chiamato spregiativamente dai Romani per le dimensioni inusitate, le decorazioni eccessive e le forme non proprio armoniche. Già dopo l’inaugurazione nel 1911 piovvero sul suo autore, il perugino Guglielmo Calderini, critiche tecniche – a causa dei problemi di stabilità dell’enorme edificio, che lentamente sprofonda nel Tevere – ed estetiche assai pesanti, le quali contribuirono a diffondere la leggenda secondo cui l’architetto si sarebbe addirittura suicidato. Gli ammiratori dell’opera le riconoscono però alcuni inconfutabili pregi artistici, in particolare le solenni statue dei Giureconsulti lungo la facciata del Palazzo e la regale quadriga in bronzo che sovrasta la grandiosa struttura affacciata sul fiume.
Nei pressi del Palazzaccio, un altro monumento poco fortunato, questa volta però per ragioni opposte: la chiesa neogotica del Sacro Cuore del Suffragio, soprannominata ironicamente “il duomo di Milano in miniatura” tanto piccola da sembrare un modellino e perdipiù completamente spaesata nel contesto urbano in cui è stata inserita. La chiesa però ospita un museo davvero singolare, quello delle anime del Purgatorio, con tutta una serie di “segni” e testimonianze provenienti dall’oltretomba, e perciò vale assolutamente la visita.
Tra le opere contemporanee più discusse ci sono sicuramente l’Ara Pacis, “inscatolata” dallo scultore americano Richard Meier con un’enorme teca di cristallo e l’Auditorium di Renzo Piano, una sorta di scarabeo nero perfettamente fruibile da un punto di vista musicale ma forse non proprio attraente visto da un’angolatura prettamente estetica. Sia i detrattori che i sostenitori convengono che in ogni caso si tratta di due opere dal fronte slancio innovativo, in cui una città conservatrice come Roma cerca – anche a se con un po’ di fatica – una sua legittima dimensione contemporanea.
Spesso però, almeno secondo qualcuno, la modernità non è sinonimo di bellezza, come nella celebre battuta di un film di Stanley Kubrick in cui s’azzarda la similitudine: “brutto come un capolavoro d’arte contemporanea”… Pensiamo ad esempio ad un’opera non ancora completamente “metabolizzata” dalla città come la Scheggia di Arnaldo Pomodoro all’Eur, un obelisco di bronzo a spirale che purtroppo l’incuria non ha contribuito a valorizzare. D’altra parte non è neppure sempre vero che l’antichità richiami a sé l’ideale esclusivo del pregio estetico, basti guardare almeno due delle famose statue parlanti di Roma, Pasquino, frammento marmoreo di una statua ellenistica mutilata, o l’altrettanto orribile statua del Babuino, tanto brutta e deforme da meritare il nome di una scimmia.
Ma il caso più eclatante riguarda il famigerato Mosé “ridicolo” che campeggia nel nicchione centrale della fontana dell’Acqua Felice (1587), opera di Prospero Antichi. La statua, che vorrebbe rifarsi a modelli michelangioleschi, si presenta tozza ed enfatica, mentre l’imponenza della fontana non riscatta la disarmonia dell’effetto d’insieme, suggerita anche dai due obelischi troppo piccoli. Eppure il passante non può fare a meno di fermarsi per ammirare da vicino questa mostra d’acqua (parte terminale di un acquedotto) che appare maestosa e possente, incutendo quasi un senso di timoroso rispetto.
Chi avrà ragione? All’osservatore attento l’ardua sentenza…