Là dove si coltiva un gran quantitativo di riso europeo si trova una delle prelibatezze del nostro territorio: le rane fanno parte di una radicata e antica tradizione gastronomica italiana legata alle zone acquitrinose. La comparsa di questo prodotto in cucina si lega alla storia del riso, coltura tipica delle aree piemontesi, venete e lombarde. La cucina di queste aree affonda le proprie radici nell’ispirazione popolare e contadina, senza per questo essere priva di eleganza e raffinatezza, e potendo contare sul consumo di risorse alimentari ‘gratuite’, come le rane, che in passato hanno soddisfatto le esigenze delle famiglie più povere. Si pensi che un tempo erano così abbondanti che negli ospedali di Novara e Vercelli si soleva preparare un brodo con queste come ingrediente principale per il pasto dei ricoverati. Sul versante veneto, Michele Savonarola, medico, filosofo e professore all’Ateneo patavino del ‘400 – nonché nipote di quel frate Girolamo finito sul rogo – ha lasciato nei suoi testi testimonianze molto dettagliate della cucina del suo tempo, che raccontano con antico verbo le ricette su questo anfibio anuro.
In varie parti d’Italia la coltura del riso ha portato alla creazione di un ecosistema che ha favorito la proliferazione di rane (non allevate, ma catturate per il consumo), che, tuttavia, non le vede più numerose come un tempo. Le cause sono da imputare all’uso dei diserbanti nelle risaie, all’attuale configurazione dei terreni coltivati (perfettamente livellati) e alla razionalizzazione delle rive. In passato la terra mossa creava pozze d’acqua molto persistenti e gli zoccoli dei cavalli utilizzati nel lavoro dei campi formavano varie nicchie umide nel suolo, ambienti ottimali per la vita di questi anfibi. Al giorno d’oggi le difficoltà sia di approvvigionamento sia di preparazione (spellatura e pulitura) ne fanno un cibo piuttosto costoso e non comune, da gustarsi quasi esclusivamente nei ristoranti. Nella gastronomia le rane si preparano in frittata; in guazzetto, con burro, brodo, aglio e prezzemolo; in umido, con sugo di pomodoro; si utilizzano per arricchire risotti e per cucinare un brodo energetico (quello che veniva servito agli ammalati), e dal quale, con l’aggiunta di riso e prezzemolo, si ricava il noto Ris e Rann e, con un soffritto di verdure da rovesciare su fette di pane abbrustolito, l’altrettanto celebrata zuppa di rane. Ma la preparazione più nota è senza dubbio la frittura. La discriminante, in questo caso, è tra chi utilizza soltanto le coscette posteriori e chi le cuoce tutte intere.
La cucina popolare predilige la rana completa; la gastronomia colta invece seleziona solo le parti carnose, cioè le cosce posteriori. E’ probabile che, nella sua semplicità, una tra le più antiche ricette per friggere le rane sia quella riportata da Bartolomeo Platina nel De honesta voluptate (1474): “Si friggano nell’olio dopo averle avvolte nella farina”. La cucina italiana rende omaggio a questo prodotto anche in sagre e feste di paese, dove ancora oggi vengono uccise innanzi al compratore per verificare la freschezza. La varietà più utilizzata a tavola è la Rana esculenta, della lunghezza di circa 10 cm, con il dorso verde macchiato di nero e con il ventre bianco o giallo. Da un punto di vista nutrizionale la carne di rana non presenta nessun tipo di controindicazione e può quindi essere consumata da tutti. La carne è bianca, tenera e di sapore delicato. Ha un contenuto ridottissimo di grasso ed è ricca di proteine nobili, di ferro, fosforo e vitamine del gruppo B e, pertanto, è anche di elevato valore dietetico.