I romani hanno un vecchio, irrinunciabile “vizio”: amare la buona tavola ed il vino frizzante. La rituale gita fuoriporta ai Castelli Romani, un classico della bella stagione, ancora oggi culmina con un’abbondante mangiata in fraschetta.
Sin dal Medioevo era possibile sostare, durante il tragitto verso Roma, presso le cantine che offrivano vino del posto, pane e uova: le cosiddette fraschette. Riconoscibili per una frasca di foglie attaccata all’ingresso, erano arredate in modo spartano: qualche tavolaccio, panche e botti di vino. Le fraschette spopolavano a Frascati (l’antico borgo di Frascata) e ben presto si diffusero nell’intera zona circostante.
A differenza delle osterie, si trattava originariamente di locali sprovvisti di cucina ed in cui veniva servito prevalentemente vino, mentre il companatico e la frutta potevano essere portati nei fagotti da casa, da “fagottari” appunto. Di recente nelle fraschette si possono gustare anche piatti caldi della tradizione romana: solo una cinquantina d’anni fa, per mangiare qualcosa, si doveva ricorrere ai banchi che vendevano salumi e altri prodotti del luogo, strategicamente situati nei paraggi.
Se parliamo di prodotti tipici dei Castelli Romani, è d’obbligo menzionare la porchetta di Ariccia. La cittadina, nota al mondo per la gustosa specialità, è meta non solo di turismo enogastronomico, ma anche culturale, in quanto testimone di secoli di storia. Grazie alla famiglia Chigi, che sul finire del ‘600 acquistò il feudo dei Savelli, per Ariccia iniziò un’epoca di splendore. I Chigi infatti commissionarono al Bernini di riprogettare parte della città, tanto che ancora oggi possiamo godere dello splendido patrimonio artistico ed architettonico.
E’ un piacere passeggiare tra le strade del centro storico della cittadina, magari prima di dirigersi verso una fraschetta. E’ facile imbattersi in banchetti all’aperto e botteghe che propongono i salumi locali. Come le bellezze del luogo, anche la porchetta qui ha la sua storia, che affonda le radici addirittura tremila anni fa, quando i Prisci latini, primi abitanti di Ariccia, iniziarono a cacciare i maiali ed i cinghiali che proliferavano nella campagna romana. Narra la leggenda che la porchetta fosse il piatto preferito dell’imperatore Nerone, che la voleva in ogni banchetto.
L’arte di preparare la porchetta si è tramandata così di padre in figlio fino ai giorni nostri ed oggi si può ben dire che si tratta un’esclusività di alcune famiglie ariccine. Il maiale da utilizzare deve avere infatti il giusto peso, un’adeguata struttura ossea, il grasso ben distribuito e già per operare questa selezione serve un occhio esperto. La preparazione della porchetta poi, è lunga e laboriosa. Come da tradizione, il forno va riscaldato con legna di castagno ed i maiali giovani devono essere disossati completamente, conditi con sale, pepe e rosmarino, e legati per mantenere la compattezza durante la cottura, che avviene allo spiedo.
Una delle migliori porchette si può acquistare presso “La Casa della Porchetta”, laboratorio artigianale fondato nel 1960, oppure “Da Michele”, che vende porchetta di produzione propria, o, ancora, al “Risveglio degli Antichi Sapori”. Nonostante si possa pensare il contrario, la porchetta non è un piatto eccessivamente calorico, grazie al tipo di cottura che scioglie il grasso ed asciuga la carne. Si tratta di una pietanza che va servita fredda e mangiata direttamente sulle fette di pane casereccio o come antipasto nelle fraschette dei Castelli. Prima di tornare in città è doverosa una sosta “Da Sora Ines” e “Da Romina”, per fare il pieno di bontà locali da gustare poi a casa con gli amici.
Ma vediamo cosa d’altro si può gustare in fraschetta. Generalmente si inizia con un antipasto misto e molto abbondante: oltre alla porchetta, si possono assaggiare salamella romana, prosciutto laziale, mozzarelle di bufala, ricotta romana, vari formaggi e salumi, le coppiette di carne equina, salsicce di maiale o di cinghiale, sottoli e sottaceti, olive verdi e nere, dolci o piccanti, il tutto accompagnato da un filone croccante di pane casereccio…
La cucina in uso nel Lazio è forse la più marcatamente popolare tra quelle italiane, gusti forti e pochi piatti, molto caratteristici. Così, dopo l’antipasto si può passare ai primi che sono principalmente quattro: bucatini all’amatriciana, col pomodoro, guanciale e pecorino, spaghetti alla carbonara, fettuccine ai funghi porcini e pappardelle al sugo di lepre o al cinghiale, in cui la carne va soffritta con gli odori, peperoncino ed alloro. Se ancora avete un posticino vi consigliamo di non rinunciare al secondo piatto: nelle fraschette si mangia l’abbacchio, che è l’agnello lattante che non ha ancora brucato l’erba, il capretto e l’agnello. Se all’arrosto si preferisce qualcosa di più elaborato, si possono ordinare secondi di carne tipici romani come la coda alla vaccinara, la trippa e la pagliata.
Naturalmente è un vero peccato gustare il secondo piatto senza un contorno. Così la scelta inevitabilmente cade sui carciofi alla romana ripieni di pane grattugiato, prezzemolo, acciughe, sale e pepe, o su quelli fritti alla giudia, sulle puntarelle in padella o sulle fave col guanciale. Qualche consiglio per una sosta golosa: dal “Vecchio Torchio” a “Checco”, da “La fraschetta dei Turicchioli” all’osteria “O’ Turchetto”, fino all’ “Hostaria da Sora Lella”, è tutto un trionfo di profumi e sapori della cucina casereccia romana. E, ancora, l'”Osteria di Corte” propone, tra gli altri secondi, arrosticini di pecora accompagnati da fagioli con le cotiche.
L'”Antico Fienile”, “Panza mia fatte capanna” e “L’Antico Grottino”, preparano sul momento secondi gustosi e fumanti accompagnati da pane casereccio e buon vino. La tradizione vuole che ogni cena in fraschetta sia accompagnata dal vino dei Castelli. “Gajjarduccio, abboccato, tonnarello ../Ah! tt’arimette er core in ner cervello,/E tt’arillegra senza datte in testa”, scriveva il Belli più di un secolo e mezzo fa (Er vino de padron Marcello). Come una volta nelle fraschette è ancora possibile degustare il vino “sciolto”, venduto in caraffe di varie dimensioni, che nel dialetto locale si chiamano “Barzilai” se di due litri,“Tubbi”, se di uno o “Fojette” se di mezzo litro.
Un vino tipico e a buon mercato è la “Romanella”, rosso e leggermente frizzante. Un ottimo vino Doc, prodotto nei vitigni del territorio di Ariccia, è quello denominato “Colli Albani”, ma sono consigliati anche il Frascati bianco ed il Marino, altri vini di pregio dei Castelli.
(pubblicato su Aroma di luglio/agosto 2009)