Una volta appannaggio dei soli scortichini, che ricevevano frattaglie come magro compenso per il loro duro lavoro al mattatoio, la pagliata o più romanamente pajata, è diventato un cibo fuorilegge in seguito alle note vicende della mucca pazza che vietarono a suo tempo anche i midolli e le bistecche con l’osso. A distanza di anni, per la gioia dei carnivori, la fiorentina è tornata fortunatamente sulla tavola degli italiani, mentre ahimè la pagliata (per intenderci, la parte superiore dell”intestino del vitellino da latte che conserva appunto il caglio del latte appena succhiato) resta al bando e l’unico modo per procurarsela è corrompere il macellaio di fiducia quando disposto, dietro a lauta mercede, a correre il rischio di incorrere in sanzioni severissime.
La normativa attuale è infatti particolarmente rigorosa e non ammette deroghe se non quella che di fatto sostituisce la pagliata di vitello con quella di agnello: ma non è la stessa cosa, la pagliata vera resta quella del vitellino da latte (questo, cucinato con il pomodoro, dà origine alla caratteristica salsa che condisce i rigatoni dando al piatto un sapore irripetibile) come dichiarano a gran voce alcuni dei più illustri interpreti della tradizione del “quinto quarto”, da Francesco Mariani di Checchino dal 1887 a Testaccio a Anna Dente dell’Osteria di San Cesareo i quali, specie nell’ultimo periodo, si stanno battendo strenuamente per la fine del divieto ed il recupero di una prelibatezza così tipicamente romana.
Non a caso, trattandosi di una questione di orgoglio cittadino, uno degli attori principali a scendere in campo è stato proprio il sindaco Alemanno, in prima linea nella tenzone europea che vede il Ministero delle Politiche Agricole discutere in sede UE la reintroduzione definitiva della pagliata dopo lo scampato pericolo dell’epidemia di encefalopatia spongiforme bovina (BSE), all’origine della proibizione poi purtroppo divenuta permanente.
Per i romani (ma non solo) un eventuale pronunciamento positivo di Bruxelles – forse previsto per la fine dell’anno – sarebbe davvero un bel regalo di Natale, che restituirebbe finalmente alla bandiera gastronomica della città uno dei suoi piatti più ricchi di tradizione e significati. Come sicuramente annuirebbe il grande Aldo Fabrizi, un’altra icona romana, instancabile divoratore di pajate e succulenti frattaglie.
(pubblicato su Aroma di settembre/ottobre 2010)