Intervista esclusiva allo chef tedesco nella sua nuova, raffinatissima, casa del gusto all’Hotel Aldovrandi Villa Borghese.
Caro Oliver, tre parole per spiegare la tua cucina: passione, creatività, sperimentazione…
Tutto comincia con la passione. Chi non ama questo lavoro e non sta al 100 per cento dentro al mestiere non può ottenere grandi risultati ovvero clienti contenti, appagati e soprattutto che ritornano entusiasti al ristorante. E’ tutto un pacchetto: la cucina, l’accoglienza in sala, l’atmosfera che si crea. Offriamo un servizio ai nostri ospiti e la nostra mission è soddisfarli. La creatività è altresì molto importante. Bisogna essere aperti e ricercare sempre nuovi prodotti e nuove tecniche. Ogni cuoco deve trovare il suo stile. Altrimenti basta aprire un libro di cucina e seguirne in modo pedissequo le ricette. La sperimentazione comincia sempre dalla ricerca, dalle prove di piatti nuovi ma anche dall’interpretazione di preparazioni classiche in modo moderno. Sono del parere che i piatti storici che si facevano già centinaia di anni fa non possono essere così sbagliati. Bisogna solo presentarli in una versione alleggerita ed attuale.
Il tema Mediterraneo secondo Oliver Glowig.
Una cucina basata su prodotti di ottima qualità e di pura origine mediterranea. Amo anche abbinare prodotti della stessa zona. Per esempio utilizzo per il pesce crudo un olio extra vergine della penisola sorrentina. Trovo anche interessante l’abbinamento di pesce e ricotta oppure formaggi freschi aventi la medesima provenienza.
Ci racconti brevemente il tuo percorso professionale, in particolare l’esperienza all’Olivo di Capri che ti è valsa la seconda stella Michelin e i 17/20 della Guida dell’Espresso?
La mia curiosità per la cucina è nata durante l’infanzia quando andavo spesso fuori a pranzo con i miei genitori. Da ragazzo feci in seguito un breve stage in un ristorante e da lì decisi di intraprendere questo mestiere. Dopo la scuola alberghiera ho lavorato per tanto tempo in un ristorante francese a Monaco di Baviera (Le Gourmet di Otto Koch). Successivamente ho lavorato per un anno come chef de partie al ristorante Acquarello a Monaco di Baviera, dove è nata la mia curiosità per la cucina italiana. Il mio intento era quello di poter trascorrere un anno in Italia per spostarmi dopo in Francia. Sono rimasto tre anni in Italia, al Quisisana di Capri, durante la consulenza di Gualtiero Marchesi. Mi sono sposato e ho avuta la proposta di Mario Gamba di tornare al ristorante Acquarello come chef di cucina. Dopo due anni abbiamo preso la prima stella Michelin. Sono tornato a Capri ed allora ho avuto la fortuna di trovare un posto come executive chef al Capri Palace. Cominciavo veramente ad avvicinarmi alla cucina italiana. Giravo molti ristoranti e trattorie per conoscere meglio le tradizioni e la cultura della cucina campana. Ho fatto anche esperienze (stage) durante l’inverno da Mei a Milano, Penati a Londra e Ducasse a Parigi.
“I miei ricordi di Capri” : è questo un piatto a cui ti senti affettivamente legato, esemplare del tuo stile di cucina oppure pensi ad altre creazioni?
Il raviolo caprese che ancora propongo nel mio menù è il mio piatto preferito. Quasi per niente modificato, presentato con la materia prima giusta, è per me un simbolo della cucina italiana. Certamente penso di creare altri piatti. Ora mi vorrei avvicinare alla cucina romana. Un poco di Campania rimarrà però sempre all’interno della carta proposta.
Heinz Beck ha conosciuto sua moglie Teresa (siciliana) in Italia tu ti sei sposato a Capri: il matrimonio nella vita influenza anche la tua esperienza di chef?
Io e Beck abbiamo in comune le cose migliori della vita, la moglie italiana, le materie prime italiane che sono le migliori in assoluto, le tradizioni italiane nelle quali ci possiamo integrare, l’atmosfera e l’ambiente intorno che ci danno la possibilità di fare il nostro lavoro al top.
La lezione marchesiana è ben viva e presente nel tuo “massimo rispetto per il prodotto”. Quali altri insegnamenti ti ha lasciato il Maestro?
Il rispetto per i nostri collaboratori e la cura della componente umana.
Un ingrediente di cui non potresti fare a meno.
I pomodori. Emblema dell’Italia, sono una materia prima dalla qualità imbattibile, che non si trova in nessuna altra parte del mondo. L’acidità perfetta, la dolcezza giusta… il sapore, unico! I pomodori fanno parte di tanti miei piatti. Utilizzo sempre diverse qualità, ognuna per la ricetta giusta. I pomodorini di Corbara per accompagnare la triglia, il pomodorino vesuviano per i ravioli capresi, il cuore di bue che si sposa bene con la testina di vitello e la mozzarella, il San Marzano con gli spaghetti… senza fine.
Molti esperti sono concordi nell’affermare che l’Italia sta attraversando un “magic moment” irripetibile per fioritura di talenti, ma pochi sembrano averne preso consapevolezza. Tu cosa pensi a tale proposito?
E’ importante stare insieme e unirsi, dare spazio anche ai giovani. I nostri sous chef per esempio sono i protagonisti di domani.
Quanto è importante nella carriera di uno chef mettersi costantemente in gioco con nuove sfide professionali? Ed il viaggio, tra sapori ed emozioni?
Bisogna trovare il posto giusto per stabilirsi e fondersi con le tradizioni e la clientela locale. Come a Capri per anni ho avuto modo di cucinare per una clientela prevalentemente straniera, ora ho trovato la mia nuova sfida a Roma. Oltre agli ospiti dell’albergo ho infatti anche tanti romani che tornano per riprovare la mia cucina e certamente per gustare qualcosa di nuovo. Questa è per me una grandissima soddisfazione.
I tuoi due menù degustazione portano i nomi delle tue figlie Aurora (4 anni) e Gloria (10 anni): quali sono le novità che proponi?
Di solito preferisco inserire uno o due piatti nuovi e sostituirli di volta in volta ad hoc anzichè cambiare tutto il menù. Sicuramente ha tanta importanza viaggiare, provare, conoscere, sperimentare. Sono però convinto che ogni chef abbia la sua filosofia e la sua linea, il suo stile personale e caratterizzante.
I tuoi indirizzi preferiti a Roma ed in Italia. Cosa pensi della tradizione romana, in particolare la cucina del quinto quarto?
Il quinto quarto ha avuto e sempre avrà il suo spazio nel mio menù. La vera buona cucina è nata nella povertà sia in Francia che in Italia, e pure in Germania. Sono sapori e gusti forti che amo e che mi stimolano. Nella mia carta propongo ad esempio la fantasia d vitello con le animelle, la testina fritta, la coda glassata, i rognoni e il fegato. Servo inoltre i supplì di riso fatti con le interiora di maiale come accompagnamento per l’aperitivo.
Oltre la cucina… Le tue grandi passioni nella vita
Paola (mia moglie), Gloria ed Aurora (le mie figlie). E, quando il tempo libero me lo permette, la montagna e sciare.
La ricetta:
Spigola e ostriche al profumo di anice con gelatina di mare
Ingredienti per 4 persone:
Per la cottura: 200 ml di acqua, 5 gr di court bouillon, 4 filetti di spigola da 120 gr, 8 ostriche “Tsarskaya” grandi, 600 gr di julienne di carote, sedano e porro, 30 gr di fagiolini di mare.
Per la gelatina: 20 ml di acqua, 2 foglie di gelatina, 4 gr di agar agar, 20 gr di lattuga di mare, 20 gr di Dulse, 8 gr di sale, 20 ml di Pernod.
Preparazione:
Per la gelatina:
– Dissalare le alghe in acqua fredda per 5 minuti.
– Frullare acqua e sale con l’agar agar e portarla a bollire.
– Togliere l’acqua dal fuoco e aggiungere la gelatina ammollata.
– Aggiungere le alghe e stendere il tutto in una placca.
– Conservare la gelatina in frigorifero.
– Rosolare carote, sedano e porro con poco olio e un spicchio d’aglio.
– Aggiungere le alghe e condire con sale e pepe.
– Condire il filetto di spigola con olio e sale.
– Mettere 5 fogli di alloro nel cestino di bambù.
– Aggiungere il filetto di spigola.
– Portare a bollire la court bouillon.
– Mettere il cestino di bambù sulla casseruola.
– Mettere il Pernod con un anice stellato nel piatto e aggiungere ghiaccio secco.
– Posizionare il filetto di pesce sulle verdure.
– Aggiungere l’ostriche e coprirla con la gelatina di mare.
– Coprire il piatto con la cloche.
Chef: Oliver Glowig – Hotel Aldovrandi di Villa Borghese
di Federico Schiaffino
(pubblicato su Aroma di settembre/ottobre 2011)