L’alta cucina sarà pure degli uomini, ma una cosa è certa: la cucina di tradizione è donna. È una catena che dura da sempre. Un passaparola di consigli, ricette e tradizioni, di donna in donna e di generazione in generazione, tesaurizzato dall’impagabile lavoro di quelle donne che si sono prodigate a metterlo per iscritto. Pensiamo, sì, ai personali quadernetti di ricette tenuti dalle massaie del popolo, tanto preziosi per la difesa dell’identità regionale. Ma pensiamo, soprattutto, a quegli indiscutibili patrimoni di sapere che la letteratura gastronomica italiana può vantare. Vere e proprie raccolte di ricette di tutta Italia – quando l’Italia si conosceva a malapena – ispirati dal ricettario dell’Artusi, ma, soprattutto, dallo spirito tradizionalista e nazionalista dell’epoca. Le loro autrici sono donne, le loro lettrici, anche. D’altronde, sono le donne le regine indiscusse della casa: amministrano il patrimonio, accudiscono la famiglia, salvaguardano le tradizioni.
Tutto il mondo della cultura gastronomica parla al femminile con concorsi, pubblicazioni, scuole di formazione, per donne che studiano, si documentano, consultano riviste e manuali di economia domestica, compilano ricettari personali. Ada Boni, autrice di una rubrica di cucina sulla rivista Preziosa, è una di queste. Una sofisticata rappresentante della classe media col vezzo della cucina, che decide di editare nel 1929, a sue spese, un libro di ricette destinato a diventare una vera e propria Bibbia della culinaria. In molti ricorderanno quel grosso libro che la nonna tirava fuori tutte quelle volte che si metteva ai fornelli in occasione delle grandi abbuffate: un volume ormai sgangherato, pieno di pagine svolazzanti e fogliacci macchiati di unto, ma conservato come un bene di inestimabile valore. Un libro quasi sacro, dal nome magico e misterioso. Un amuleto regalato per le nozze dalla madre alla figlia, per augurare un matrimonio felice e uno stomaco contento. Un Talismano della felicità, appunto.
Dopo la Boni, è un’altra donna della borghesia a tentare la fortuna, Amalia Moretti Foggia, alias Petronilla, che trasforma la sua graditissima rubrica “Tra i fornelli. Le ricette di Petronilla”, ogni domenica sull’inserto del Corriere della Sera, in altrettanto amati libri di cucina. Queste brave massaie – guai a chiamarle cuoche o “professorone”! – ebbero l’ardire di conciliare i divergenti gusti di un pubblico popolare affamato e di uno borghese annoiato, portando una ventata di rinnovato entusiasmo ed insperata creatività nelle cucine italiane. In un’epoca in cui gli ingredienti erano limitati, le famiglie allargate e il borsellino mai abbastanza provvisto, la Boni e la Moretti riuscirono a trasformare la limitatezza in ricette fantasiose, genuine, ricche di sapore ma attente al portafoglio: largo spazio quindi ad una cucina tradizionale, di territorio e rigorosamente senza sprechi. Ricettari d’altri tempi, insomma, ma che ancora accomunano le cuoche di ieri e di oggi. Già, perché i libri della Boni e della Moretti rappresentano qualcosa di più di semplici raccolte di ricette. Sono dei veri e propri manuali di vita casalinga tout court, che hanno trasformato l’impersonale struttura del ricettario in un amichevole resoconto di esperienze e difficoltà quotidiane. Niente a che spartire, quindi, con la fredda praticità dei moderni manuali di cucina. Da oltre settant’anni un filo di sorellanza lega queste autrici alle cuoche più o meno provette di tutti i tempi, garantendo indicazioni precise, puntuali e risolutive di ogni possibile errore. Questo è, probabilmente, il vero segreto dei grandi ricettari femminili. Forse lo stile non sarà dei più moderni, il tono risulterà alle volte troppo pedissequo e puntiglioso, non avranno l’appeal e la maneggiabilità delle rubriche più moderne, ma le ricette sono per la maggior parte ancora attuali, facilmente realizzabili e, soprattutto, di garantito successo: una tradizione antica, tutta al femminile, tutta da difendere.
di Flavia Rendina