Accade di andare al ristorante o di cucinare a casa una ricetta e scoprire che la lezione di Apicio e degli impenitenti ghiottoni dell’Antica Roma sia ancora sorprendentemente viva ed attuale. Basta prendere qualche piatto a caso dal menu d’ordinanza come ad esempio l’abbacchio al forno: non si notano particolari varianti rispetto alla versione originale del De Re Coquinaria salvo qualche ingrediente in più (la cucina dell’epoca imperiale eccedeva spesso con i condimenti) come il coriandolo. Date retta ad Apicio: “strofina l’agnello con olio e pepe, cospargilo di sale e semi di coriandolo. Mettilo in forno e quando sarà ben arrostito servilo”. Se il maialino al forno è tuttora diffusissimo soprattutto ai Castelli (la porchetta) e nella cucina sarda (lo squisito “porceddu”) – a proposito: vi ricordate le sontuose portate di maialino al banchetto di Trimalcione nel Satyricon di Petronio? – il pollo alla diavola è anch’esso un’invenzione tutta romana, a base di spezie piccanti, da cui il nome. Il pane dei romani (libum) era alquanto diverso dal nostro, e somigliava piuttosto a bocconcini al formaggio (ricotta) che oggi potrebbero accompagnare bene l’aperitivo.
Analogie più evidenti esistono invece tra gli antichi dolmates e gli involtini di foglie ripiene di riso della Grecia e della Turchia, tra alcune zuppe di pesce e i nostri brodi marinari e le focacce di ieri con i sandwich di oggi. A ben guardare anche i doughnut americani ricordano gli encyti, ossia spirali di pasta fritte nello strutto e riavvolte in forma circolare, servite molto calde. E che sono i basynias (di discendenza greca) se non gli antenati degli struffoli napoletani? Dolcetti a base di uova, miele, fichi secchi e noci, la cui ricetta è sopravvissuta nei secoli per arrivare fino a noi. Un altro piatto strettamente imparentato con le leccornie di Apicio è il nostro prosciutto in crosta o l’americano Virginia baked ham. Scrive lo stesso chef togato: “Preso un prosciutto lessato con moltissimi fichi secchi e tre foglie di alloro, lo si scuoi, incida a rombi e inzuppi di miele. Poi si fa una pasta con farina e olio e se ne riveste il prosciutto. Quando la pasta sarà cotta si leva dal forno”. A parte il miele, sostituito dal succo di ananas e zucchero bruno, e la pasta (al suo posto si può usare il foglio di alluminio), la ricetta è pressoché identica a quella di duemila anni fa.
La passione degli antichi romani per i pasticci (di pesce, di selvaggina) è stata raccolta in eredità più dai francesi che dagli italiani, i quali continuano a preferire vivande meno elaborate. Tra i dolci, una similitudine davvero curiosa risulta chiaramente dall’accostamento tra la famosa cassata di Oplonti – di cui non c’è ricetta ma solo un affresco in uno dei triclini della villa omonima – ed il goloso dolce siciliano. Gli ingredienti e la preparazione dovevano essere infatti più o meno gli stessi: frutta secca, ricotta, farina di mandorle, miele. Anche i gustosi sorbetti a base di frutta venivano fatti nello stesso modo, cioè prelevando neve fresca dai ghiacciai (quella dell’Etna era assai pregiata) per poi aromatizzarla con succhi di frutta. La “globalizzazione” dell’Impero portò sulla tavola degli antichi romani anche numerosi piatti esotici, destinati all’eternità: il bollito misto e la trippa, di origine egiziana, il “sanguinaccio” (brodo con verdure, pane raffermo, burro e sangue, di radice mesopotamica), la pizza bianca romana (l’artolagano, cioè sfoglia di pane, dei Greci), l’aragosta o il pesce alla griglia o al forno (con formaggio come facevano i concittadini di Omero ed oggi si usa in Puglia), le seppie al nero, i totani ripieni, o gli attinitai, antica versione dei pancake americani, tutti di derivazione greca.
Insomma, per schematizzare un po’ il menu, potremmo fermare il tempo ed immaginare una tale sequenza di portate: Libum (bocconcini di formaggio) per aperitivo. Dolmates (involtini di foglie di vite e riso) per antipasto. Zuppa di pesce per primo piatto. Pollo alla diavola o tonno alla griglia per entrée. Sorbetto di fico d’India per dolce-frutta. Cassata per dessert. Il tutto accompagnato da sfoglia di pane greca e vino Falerno (tuttora in produzione).
Buon appetito!