Caro Angelo, tu sei uno degli chef più affermati di Roma e d’Italia. Negli ultimi anni in particolare l’ascesa del tuo nome e del Convivio Troiani è stata irresistibile. Vuoi raccontarci le tue prime esperienze in cucina?
Vengo da una famiglia con il culto del genuino, che ha saputo educarmi al buono goloso. Tutto è iniziato come per gioco perché il lavoro per me ha sempre significato sì fatica ma anche e soprattutto divertimento. Ho frequentato la scuola di cucina di San Benedetto del Tronto e da lì ho mosso i primi passi.. La tappa successiva é stata il ristorante La Capannina di Porto San Giorgio dove ho collaborato con Aurelio Damiano, che io considero un po’ come il mio padre putativo. Un autentico vulcano di idee, capace di tirare fuori dal nulla le note sfumate dei sapori e dare al piatto una impronta di assoluta personalità. Poi l’approdo al mio primo ristorante di Roma e infine l’esperienza del Convivio che mi fruttò un riscontro positivo della critica pressoché immediato. La parentesi a Fabriano, una vera palestra di vita per me, quindi il ritorno definitivo nella capitale e nel ’94 la stella Michelin che brilla tuttora. Poi le tantissime consulenze, la scuola di cucina Coquis, l’esperienza del Taste of Roma… Chi si ferma è perduto!
Il tuo particolare stile di cucina sa osare pur nel rispetto degli equilibri dei sapori. Quanto conta la creatività ? Cosa dici a proposito della sperimentazione e del rovesciamento degli schemi convenzionali? Ad esempio il dolce salato o l’impiego di ingredienti inusuali (tipo le verdure nei dessert), gli accostamenti pesce-carne che superano di fatto molti tabù in cucina?
La curiosità è la benzina, il comburente della ricerca che in cucina é una strada maestra. Il mondo va avanti, evolve, così è anche ai fornelli. Qualche tempo fa si parlava di pillole e di alimentazione d’astronauta, oggi il ritorno alla natura e agli ingredienti biologici – a cui io guardo con grande interesse – sembra per fortuna aver scongiurato il pericolo di una dieta incolore e senz’anima. La curiosità é insita nell’uomo, il richiamo alla sperimentazione un bisogno istintivo. Il mio concetto di creatività semplicemente intende rielaborare le radici delle tradizioni alla luce di una moderna sensibilità. Vuoi qualche esempio? Il mio foie gras al torcione in crosta di fichi e pistacchi altro non é che una riedizione dell’antichissima ricetta di Apicio, e così l’amatriciana – che io interpreto a modo mio con leggere nuances come l’aceto balsamico e la cipolla (a dispetto dei puristi), un grande piatto in grado sempre di emozionare. Tutte preparazioni, manco a dirlo, da gustare rigorosamente espresse, per non disperdere i sapori primari che ne compongono la perfetta alchimia.
Come nasce una nuova creazione?
Magari sul cuscino, nell’inconscio del sonno matura un’idea e al mattino mi sveglio con un piatto in testa fatto di combinazioni ben definite. Il mio semifreddo allo zabaione con Aceto Balsamico Tradizionale di Modena, ad esempio, è un piatto della memoria. Sono cresciuto a uovo sbattuto con marsala e vino cotto, quindi perché non provare parimenti l’efficacia di un aceto balsamico di grande qualità? Il risultato è un piatto riuscito ed imitatissimo, che mi ha dato non poche soddisfazioni.
Quale è un cuoco che ammiri o al quale ti senti affine per la linea dei piatti?
Mi piacciono Bruno Barbieri, Mauro Uliassi, Moreno Cedroni, Agata Parisella e Fabio Baldassarre.
Lo chef di successo è diventato una star mediatica che gode di straordinaria popolarità. Cosa ne pensi del divismo in cucina?
Per natura non amo le esagerazioni e a volte la sovraesposizione mediatica o l’eccesso di presenzialismo serve solo alla vanità compiaciuta di alcuni chef. Insomma il prezzemolo è meglio in cucina che in tv…. Però penso che alla fine il parlare tanto di cucina faccia bene al nostro mestiere, anche se si tratta di un fenomeno destinato ad essere ridimensionato.
Le culture esotiche, e soprattutto quella orientale con i suoi profumi di zenzero, curry, cumino ecc costituiscono un elemento fondamentale per stimolare il palato con insolite fragranze. Quanto è importante nella tua cucina l’influsso degli altri paesi? C’è una gastronomia etnica che ti affascina più di altre?
Ho lavorato spesso con ragazzi indiani o del Bangladesh e da loro ho imparato l’amore per i profumi esotici, come per esempio il cardamomo. Adoro alcune miscele di spezie che mi piace abbinare ad alcuni ingredienti tipicamente mediterranei e faccio largo uso di materie prime orientali come il Tilda, il top del riso Basmati.
I migliori cuochi del mondo sono in maggioranza uomini. L’arte culinaria è al maschile o femminile? Per fare il cuoco ci vogliono i muscoli?
Per retaggio culturale la cucina appartiene all’uomo, è un ambiente maschio (senza retorica) , nel senso che si tratta di un mestiere duro e faticoso, che richiede grandi energia e spirito di sacrificio. Ebbene sì, ci vogliono i muscoli, non a caso io mi alleno in palestra (scherzo), anche se con le avanzate tecnologie le donne sono più libere di esprimersi e i risultati si vedono e si sentono.
Il tuo menu cambia con frequenza in rapporto alla stagione e all’ispirazione. Quali sono i piatti storici del Convivio e le ricette più riuscite e fortunate? E un piatto che useresti come arma di seduzione?
Oltre all’amatriciana e al semifreddo di zabaione sono affezionato ad alcuni piatti come la variazione d’agnello, la zuppa di pesce, il fiore di zucca aperto con mozzarella, alici e sorbetto di peperone agrodolce piccante e il piccione, ricetta molto tecnica, che io propongo in varie versioni, tra cui quella con mandarinetti cinesi caramellati. Se vuoi prendere qualcuno/a per la gola vai sul sicuro scegliendo il tartufo bianco, che possiede un fascino tutto afrodisiaco con quel suo contrasto dolce-acido, pungente: il massimo dell’eros in cucina.
I tuoi ristoranti preferiti a Roma e nel Lazio
I miei ristoranti favoriti sono Pierino ad Anzio per il pesce , la Trota a Rivodutri per la vena felicemente creativa e l’Osteria di San Cesario a Zagarolo per una riscoperta dei valori del territorio e a Roma il Green Tea, un grande ristorante di alta cucina cinese in Italia e in Europa.
L’idea fondamentale del Convivio, come sembra esprimere il nome stesso del ristorante, è una filosofia della tavola che diventa esperienza totale, benessere a 360°. In altre parole chi viene al Convivio cerca il piacere non solo del palato ma anche dello spirito. Vogliamo approfondire insieme questo concetto?
La mia più grande soddisfazione, cosa che per fortuna mi accade spesso, é quando un cliente si congeda e, al di là dei complimenti formali, mi ringrazia nel modo più bello: “Mi hai fatto passare qualche ora di puro piacere”.
La tua famiglia è di origine marchigiana ma tu sei nato a Roma. C’è angolo della Città Eterna che capace di conquistarti ogni giorno con la sua bellezza?
Campo de’ Fiori la mattina quando vado a fare la spesa, con quelle casupole da presepe che ti fanno innamorare. Oppure, la sera, Il Gianicolo e il suo fontanone illuminato sopra la città, un sogno ad occhi aperti.
Cosa fai nel tuo tempo libero quando non cucini?
Come ti ho già detto mi piace della vita l’aspetto ludico, quindi amo tutti i giochi, le carte con gli amici, gli sport sani come il nuoto e la corsa. Per essere un cuoco che assaggia e prova di continuo come puoi constatare conservo un’ottima forma. Ovviamente mi piace visitare gli altri ristoranti e scoprire nuove idee e talenti.
Una passione che coltivi e che, se non fossi uno chef, ti piacerebbe trasformare in lavoro.
Se non avessi fatto il cuoco, sarei oggi un veterinario perché amo moltissimo gli animali. Il mio unico rammarico è quello di non poter tenere un amico a quattro zampe a causa dei troppi impegni di lavoro.
Infine una riflessione sullo stato di salute della cucina a Roma.
Roma è diventata una piazza assai effervescente, animata da personaggi di alto profilo. E’ una grande città che concentra in sè molti spunti di interesse e specie ultimamente ha dimostrato di essere più matura e ricettiva, facendo propria una maggiore attenzione alla qualità. La rinascita dei ristoranti d’albergo, che sono di una metropoli il biglietto da visita, fornisce la prova più significativa di questo cambiamento che fa infine di Roma non solo la capitale politica ma anche culinaria del nostro paese.