Cibo di strada: la più antica espressione del mangiar fuori casa, solitamente appannaggio degli uomini che si ritrovavano nei chioschi e in quelli che potremmo paragonare agli attuali bar-rosticceria per fare quattro chiacchiere dopo il lavoro. Il piatto più richiesto? Le frattaglie: gustose, semplici, economiche. Una tradizione popolare che accomuna tutte le regioni d’Italia e che in alcune zone resiste nonostante le rigide norme igieniche comunitarie e il morbo della mucca pazza. E che ultimamente sta vivendo un momento di grande riscoperta grazie allo street food, il trend del momento che garantisce cibo genuino a buon mercato. E allora, scendiamo in strada alla scoperta delle ghiottonerie più tradizionali.

Abruzzo > Tuncenelle

L’intera regione è nota per l’ottima qualità delle carni di pecora e capra che vengono utilizzate in tutti i loro tagli per preparare cibi robusti: non sfuggono al consumo neppure le interiora di agnello o capretto che vengono tagliate a striscioline, divise a mucchietti e insaporite con aromi vari e peperoncino e cucinate con olio, pomodoro, vino bianco. Con molte varianti e diversi nomi (tuncenelle (Chieti), mazzarelle (Teramo), marro (L’Aquila), si mangiano in tutta la regione e si vendono in piccoli chioschi dove si accompagnano ai “rosticini”, spiedini di agnello e maiale grigliati.

Basilicata e Puglia > Gnumeredd e Fornelli pronti

Tipico cibo di strada murgiano, gli gnumeredd sono interiora d’agnello arrotolate e arrostite allo spiedo sulla fiamma. In Puglia, nella tradizione dei “Fornelli Pronti”, ovvero i piccoli forni a legna al di fuori delle macellerie dove consumare la carne sul posto, agli gnumeredd si uniscono anche bombette (carne di maiale del capocollo e formaggio), zampine (salsicce preparate con macinato di maiale, basilico, prezzemolo e salsa di pomodoro) e quagghiarridde (montone ripieno di frattaglie e scamorza, uova e salame, servito con rucola lessata), infilzate su spiedi e arrostite.

Calabria > U morzeddu

Piatto simbolo della cucina di strada di Catanzaro è sicuramente u morzeddu (morsello o murseddu), il panino con le interiora di vitello in salsa piccante. Alimento tipico della prima colazione dei contadini, è diventato il classico spuntino della merenda, da consumare nei caratteristici locali del centro. Oltre che con pezzi di trippa ed interiora bovine tagliate a strisce e cotte in sugo di pomodoro, vino rosso, origano e abbondantissimo peperoncino, u morzeddu può essere preparato con carne grassa e magra di maiale tagliata a pezzetti, condita con pomodoro e peperoncino e cotta a fuoco lento nel vino rosso finché il sugo non diventa denso e cremoso, oppure con gli “stigghioli” di capretto o di agnello, cioè le frattaglie degli ovini come cuore, fegato, polmone e stomaco, tagliate a strisce e cucinate in bianco, con prezzemolo, olio, lardo e peperoncino o, in alternativa, con il pomodoro, ricavandone un sugo piccante e profumato. U morzeddu viene poi servito e consumato nella caratteristica pitta, un pane morbidissimo a forma di larga ciambella privo di crosta.

Lazio > Il fritto alla romana

Oggi si conoscono solo supplì, fiori di zucca, filetti di baccalà e crocchette, ma il tradizionale fritto alla romana è ben lontano da questa versione odierna, a base principalmente di alimenti spesso surgelati. In origine esso consisteva, infatti, in un genere di frittura raffinata, nella quale entravano a far parte una serie di elementi scelti dal cosiddetto quinto quarto, ovvero le frattaglie dell’animale, ed in particolare: cervella (di abbacchio o di vitello), schienali, animelle, testina e fegato di vitello, a cui potevano essere aggiunti pane dorato, carciofi, zucchine, funghi, mele e cavolfiori. Il tutto veniva impastellato, passandolo nella farina e nell’uovo sbattuto e poi fritto nell’olio bollente. Un tempo questa ricca frittura poteva essere acquistata e consumata direttamente in strada al banco del friggitore o nelle osterie, dove ci si ritrovava per bere e spizzicare qualcosa, un’usanza purtroppo scomparsa dall’ambito dello street food, di cui restano solo i sopracitati fritti di qualche rosticceria.

Liguria > Le tripperie

Dopo la farinata, il piatto più tradizionale dello street food genovese sono le trippe (il plurale a Genova è d’obbligo), che si vendevano nelle tripperie, appositi locali con un grande bancone in marmo, sovrastato dalle bianche frattaglie. Le trippe erano vendute al dettaglio, ma si potevano anche gustare crude con sale, olio e qualche goccia di limone seduti ai tavoli o al bancone. La tradizione era passare in tripperia la mattina per fare colazione con il consommé di trippa caldo servito nelle scodelle e accompagnato dalle gallette. Oggi di questi negozi ne sono rimasti pochi, ma si riconoscono sempre per l’intenso odore di brodo che esce dai grossi pentoloni fumanti, dove sono messe a bollire frattaglie bianche, da una parte, e frattaglie rosse, dall’altra. Le preparazioni più classiche sono la trippa accomodata (in umido che può essere al cognac, ai peperoni, ai ferri, alla francese, alla parmigiana), la trippa in insalata, la trippa fritta e la sbira che si fa aggiungendo crostini di pane abbrustolito alla trippa accomodata.

Lombardia > La busecca

Nella tradizione gastronomica lombarda e in particolare in quella milanese, una delle ricette più famose è la trippa alla milanese, chiamata “busecca”, dal tedesco butze, che significa viscere. La busecca, di cui esistono varie ricette familiari ma che generalmente conta tra gli ingredienti fagioli di Spagna e pancetta, era un piatto che accompagnava la vita dei contadini nelle occasioni di ritrovo tradizionali, come la notte di Natale, quando i contadini si riunivano a mangiare nelle stalle dopo la messa di mezzanotte, e in occasione delle fiere e dei mercati del bestiame.

Marche > Panino con le spuntature

Ad Ancona le spuntature sono le budellina di vitello da latte, quelle che nel Lazio sono comunemente utilizzate per fare la tipica pajata. Insaporite con aglio, rosmarino, pepe, sale e un bicchiere di vino, vengono poi poste su una griglia ben calda ed arrostite accuratamente, evitando che perdano il latte che c’è ancora all’interno. Servite tra due fette di pane, meglio una ciriola o una rosetta, e con un buon bicchiere di vino, erano la tipica merenda di Senigallia, che si poteva acquistare nei chioschetti lungo le strade, dotati di griglia a carbonella e di una tavola di legno dove sedersi. Oggi per motivi igienici non esistono più ma si può ricorrere al proprio macellaio di fiducia.

Sardegna > Zimino

Ricetta tipica del sassarese, lo zimino è un arrosto di frattaglie di vitello suddivise in bianche e rosse. Fanno parte dello “zimino bianco”, tratti di intestino tenue (i Riccioli), il Timo (Primo Latte o animelle) e l’intestino retto, mentre del “rosso”, il Fegato (o “figgaddu”), il cuore (“gori”) e il diaframma (Parasangu). Reso illegale e non commercializzabile in seguito alle note vicende della “mucca pazza”, viene comunque preparato in “contrabbando” durante ritrovi popolari e feste.

Sicilia > Pani ca meusa

Questo gustoso panino, vero simbolo dello street food italiano, grazie ad un’esportazione che l’ha reso protagonista anche Oltreoceano, è il non plus ultra del cibo di strada palermitano, da consumare in luoghi di ritrovo popolari tradizionali come la celebre Vuccirìa. Spaccata in due, la vastedda, il caratteristico panino circolare ricoperto da semi di sesamo, viene farcita copiosamente con fettine di milza, polmoni e scannarozzato (cartilagini della trachea) del vitello, lungamente cotti nella saimi (strutto) con cui si andrà ad impregnare bene il pane. Il panino può essere in due versioni: schietto, semplicemente bagnato da gocce di limone, o maritato, ossia completato con ricotta e caciocavallo grattugiato. L’origine di questa pietanza tipica è legata alla presenza della comunità ebraica a Palermo dedita all’arte della macellazione. Poiché la religione vietava ai macellai ebrei di accettare denaro per questo tipo di attività, come ricompensa del loro lavoro, essi trattenevano per sé le interiora dell’animale. Per ricavarne guadagno, inventarono quindi questa pietanza a base di frattaglie bollite, che vendevano in strada ai cristiani sotto forma di panino imbottito da mangiare al momento.

>Frittola

Altra pietanza tipica siciliana è la frittola, pezzetti di carne, grassetti e piccole cartilagini ricavate dalle ossa del vitello, bollite ad alta temperatura e poi liofilizzate. Il frittularu fa “rinvenire” la frittola friggendola nello strutto e riponendola, caldissima, in un apposito, grande cesto di vimini detto panaru dove verranno aggiunti degli aromi quali alloro e pepe. Il prodotto viene dunque servito all’interno di un panino morbido, tipo semprefresco o focaccia o su un foglio di carta oleata.

>Stigghiole

Proposto a Palermo da venditori ambulanti, le stigghiole sono le interiora di capretto o agnello, condite con prezzemolo, limone, lardo e sale e cotte sulla graticola.

> La quarumi

In siciliano vuol dire “pietanza calda” ed è uno dei tipici piatti da strada di Palermo e Catania. È composta da viscere di vitello (tipicamente ventra, matruzza, centopelle e ziniere), bollite nella “quarara”, il tipico calderone con cipolle, sedano, carote, prezzemolo. Viene servita calda con sale, pepe, olio, limone. I suoi venditori, i quarumari, i cui chioschi si possono trovare in giro per la città e nei mercati rionali, spesso la servono insieme al musso (ovvero testa, zampe, mammelle e nerbo) del vitello.

Toscana > Panino col lampredotto

Celebrato almeno quanto il Duomo, il panino con il lampredotto è il piatto istituzionale dello street food fiorentino. In tutte le piazze di Firenze non manca il banchino del trippaio, con il suo pentolone sempre bollente, che richiama fiorentini e turisti a gustare un bel panino con il lampredotto, la parte più umile e magra dello stomaco del bovino. Lasciata cuocere a lungo in un brodo arricchito da odori e pomodoro, la trippa viene affettata e disposta all’interno di un panino inzuppato con un po’ di brodo, condito a richiesta con salsa verde o salsa piccante.

> Pan co’grifi

La gastronomia aretina vanta invece una tipica preparazione contadina, il “pan co’ grifi”, un panino ricco e saporito, imbottito con i grifi, le parti magre e callose del muso di Chianina. Una volta sminuzzati, i grifi vengono cotti in umido a lungo con cipolla, chiodi di garofano, un pizzico di timo, uno di sale e di pepe; quando l’acqua si è ritirata, i grifi vanno bagnati con un bicchiere di vino e un po’ di conserva di pomodoro e cotti finché non si ammorbidiscono per poi essere disposti sopra il pane.

Veneto > La Spiensa e il Rumegal

La tradizione veneta è nota per la tradizione dei cicheti, dal latino “ciccus” che significa piccolissima quantità, ovvero quegli spuntini simili a tapas spagnole serviti nei tradizionali “bàcari”, luoghi di ritrovo popolari dove chiacchierare tra un bicchiere ed uno stuzzichino. Assieme a sarde in saor, baccalà fritto o mantecato, folpetti (polpetti affogati), si fanno largo anche stuzzichini a base di frattaglie come i nervetti con cipolla e fagioli, la spiensa, fette sottili di milza bovina lessata e condita con olio e spezie, e il rumegal, rumine bovino lessato e condito con sale e olio.

di Flavia Rendina
(pubblicato su Aroma di marzo/aprile 2011)