Considerato da molti chef “di tendenza”, Filippo La Mantia è un personaggio decisamente eclettico. Protagonista di ricette innovative (raccolte nel nuovissimo “Filippo La Mantia – Oste e cuoco – Emozioni, appunti e ricette di cucina”, Edizioni Fabbri) per cene illustri con ospiti del calibro di John Travolta, Quentin Tarantino, Ottavio Missoni, Keith Jarrett nonché fonte di ispirazione di film (vedasi “Tutte le donne della mia vita” di Simona Izzo) e di libri, una vita avventurosa da reporter e skipper. Filippo ha un sogno nel cassetto: cucinare per i bambini dell’Africa. In effetti il sogno sta già prendendo forma. Ogni volta che Filippo cucina una caponatina, 1 euro del ricavato viene donato alla Comunità di Sant’Egidio per il progetto “Food for Life”, impegnato a combattere il flagello dell’AIDS in Africa. Il programma si chiama DREAM e permette di curare intere famiglie gratuitamente.
Originario di Palermo, Filippo La Mantia ricorda la sua infanzia in Sicilia, il profumo delle vivande in cucina, le materie prime insuperabili e naturalmente non omette di sottolineare l’orgoglio che lo lega alla sua terra, una fiera appartenenza che si rispecchia nella preparazione delle pietanze. Filippo ha un concetto “light” di cucina, evita cioè i soffritti, gli oli bruciati od esausti e gli odori invasivi. Per dirla con le sue stesse parole: “il concetto light comprende sia l’ingrediente che la maniera di utilizzarlo e di trasformarlo”.
Risiede ormai da anni a Roma dove, dopo l’esperienza fondamentale della “Trattoria”, si appresta ad aprire un nuovo locale il cui nome sarà presto reso noto attraverso il suo sito web. I suoi piatti sono unici, complessi intrecci di semplicità e creatività, trionfi di mare e di terra, di spezie ed erbe, sapori potenti eppure leggeri, esaltati dagli agrumi, rotondi… insomma, ogni piatto porta con sé i profumi e i sapori intensi della Sicilia.
Aroma ha avuto il piacere di intervistare uno degli chef più in voga del momento.
Pensando alla Sicilia viene spontanea l’associazione al concetto del “mediterraneao” non solo in senso lato, ma esteso a tutto ciò che racchiude e rappresenta la tradizione italiana. L’Italia è storia, arte, cultura e la cucina stessa non è che una delle sue tante forme di espressione. Parlando del suo stile personale, cosa si sente di dire a tale proposito?
Ho concentrato tutto me stesso, la mia anima, le mie memorie dentro al piatto costruendolo intorno agli ingredienti d’origine della mia terra. Mi sento, per alcuni versi, un privilegiato nell’avere vissuto la mia isola in periodi in cui tutto era al suo massimo splendore, la giovinezza, primavera della vita. Ho goduto lungamente di tramonti ed albe, di mare e salsedine, di vento e di acqua. Il contatto con il contadino o con il pescatore mi ha concesso di apprendere la loro filosofia e le loro usanze alimentari. Poche cose, ma di grande sostanza e gusto. Cibi creati per l’esigenza quotidiana e per il loro lavoro sia in terra che in mare. La mediterraneità sta appunto in questo: cercare di realizzare un piatto nutriente, leggero e digeribile, ma ricco di sapori e significati.
Come interpreta uno “chef sex symbol” come lei l’eros in cucina? Crede che una portata possa essere espressione o manifestazione di erotismo?
Gola ed eros sono da sempre intimamente legati, non si tratta di un luogo comune ma della semplice verità. L’alcova è simbolo di piacere e intimità, “l’urna molle e segreta”, la cucina è un luogo altrettanto sensuale, percorso dal fremito della creazione e della trasformazione. Un tempo nelle classi più agiate quello del cibo era un rito privato, da condividere con esclusiva complicità, ed a volte il corpo si trasformava in tavola da imbandire e su cui voracemente consumare le vivande. Ricordate ad esempio la mitica scena delle ostriche nel Casanova di Fellini? In fondo, se riflettiamo bene, l’origine della nutrizione è proprio il corpo, il seno da cui scaturisce il latte materno. L’elemento erotico è presente a mio parere soprattutto nelle forme e nel significato recondito di alcuni cibi, ad esempio la bottarga e il caviale, parliamo quindi di uova, simbolo della fecondazione. Io definisco cibo sensuale quello che rappresenta la leggerezza, il profumo e la sapidità, e non tanto gli ingredienti comunemente considerati afrodiasiaci, a torto o ragione, come l’ostrica (il frutto dischiuso della donna), i crostacei, il peperoncino, lo zafferano, il cioccolato, o la mela, simbolo del peccato originale e metafora del desiderio…
La caponata è una delle sue ricette più fortunate. Un piatto che non molto tempo fa veniva considerato povero ma sempre capace di rievocare con il suo profumo e sapore l’amore con il quale la mamma lo preparava. Una ricetta della tradizione, da lei reinterpretata, che è riuscita a sciogliere il cuore del terribile critico culinario Anton Ego che ebbe modo di gustarlo nel ristorante “Gusteau”. Parliamo in pratica della “Ratatouille”, tratta dall’ononimo cartone animato della Walt Disney… Cosa rende questa pietanza tanto particolare?
Bella quella scena di “Ratatouille” quando il critico mangia scettico il piatto e viene catapultato indietro nel tempo e precisamente da bambino con la mamma che lo nutre… La caponata evoca tutto questo, rumori di cucina, voci familiari, profumi domenicali e soprattutto l’amore che le mamme mettevano nel preparare qualcosa di caldo che “sapesse” di casa e rassicurante quotidianità. Io stesso ricordo in modo nitido la domenica quando tutte le donne di famiglia intorno a un tavolo, tra una chiacchiera e un “curtigghiu”, tagliavano le melanzane per fare il sugo e condendo il tutto realizzavano un piatto straordinario, che, con l’aiuto dello zucchero e dell’aceto, ottimi conservanti, restava in dispensa per tutta la settimana.
Un altro dei suoi piatti forti è il cous cous, ricetta anch’essa molto particolare. Sarei inoltre curiosa di sapere quanto c’è di “arabo” nella scelta degli ingredienti delle sue ricette.
La Sicilia occidentale, quindi la parte di Trapani, è sempre stata a contatto con i paesi arabi. Tunisia, Algeria, Marocco o anche il Senegal, paesi che rappresentano alcune preziose testimonianze di come si utilizzi il cous cous.
Grandi produttori di semola sono anche Israele e Palestina, affratellati da questo piatto della pace, capace di sanare a tavola ogni discordia. Il cous cous ha una forte pregnanza religiosa tanto che si dice che le donne mentre “incocciano” la semola pregano. Uno dei piatti più significativi della Bibbia è il piccione arrosto con il cous cous che fuoriesce dal ventre: simboleggia la fertilità e l’abbondanza. Per quanto mi riguarda sono stato attratto dalla semola a S.Vito lo Capo (TP), dove tra l’altro si svolge ogni anno il celebre Cous Cous Festival. La maniera di lavorarlo e soprattutto l’uso di svariate tipologie mi ha reso tutto più facile. Ovviamente ho dato la mia personale interpretazione facendone un antipasto, un primo, un contorno ed anche un dolce e spesso abbinandolo ad ingredienti inediti per la tradizione, in linea con un gusto più moderno.
Lei ha deciso di sostituire l’utilizzo di aglio e cipolla con il pesto di arancia e limone, base di tutta la sua cucina. Ritiene infatti che i primi due coprano i sapori delle pietanze, al contrario degli agrumi, in grado invece di amplificare al massimo il gusto. Adora le erbe, il basilico, la menta, l’origano, impiega le mandorle, i capperi, l’uvetta, i pinoli, la cannella. Ma alcuni studi dimostrano come sia l’aglio che la cipolla siano fortemente afrodisiaci perché contengono ossido nitroso, proprio come il Viagra. Proprio lei, chef “fascinoso” e seduttore, così la definiscono le sue fans, come porrebbe rimedio a tale limite?
Non ho nulla di personale contro l’aglio o la cipolla. Riconosco le qualità dell’aglio ma non ne faccio uso, non mi ha mai attratto, troppo invadente, al pari della cipolla. Rinunciandovi, ho voluto invece realizzare piatti che potessero essere in qualche modo alternativi e soprattutto divertenti, leggeri e facilmente digeribili. Adoro al contrario gli agrumi e le erbe dell’orto mediterraneo. Ho voluto rompere un tabù e dimostrare che si può cucinare tranquillamente senza aglio o cipolla, ingredienti base ma non insostituibili della cucina italiana classica. La gente è attratta da queste novità e a quanto mi risulta non ci sono mai stati casi di scarse prestazioni sessuali, almeno finora! Anzi, il contatto con il sapore degli agrumi o il profumo che possono emanare le labbra di basilico o menta rendono tutto più piacevole e sottilmente sensuale.
Si cimenterebbe mai nella preparazione di un piatto tipico romano?
Assolutamente sì. Amo la cucina romana e devo tantissimo a Roma e ai suoi abitanti. Le tradizioni eno-gastronomiche romane sono ricche ed antiche quanto il mondo. Il cibo a Roma, ieri come oggi, è diletto, divertimento, seduzione ed occasione di aggregazione sociale. Amo soprattutto il cacio e pepe, fatto ad arte però, si tratta infatti di un piatto semplice solo in apparenza, in realtà difficile banco di prova per qualsiasi chef che si rispetti. Sono un frequentatore, quando posso, di Anna Dente o di Cacciani, grandi interpreti della cucina romana classica e devo dire che tutte le volte si rivela sempre una grande esperienza, non solo del palato. Anche Heinz Beck, mio caro amico, ha dato dall’alto della sua cucina una interpretazione d’autore della tradizione romana, raffinata e piena di contenuti.
Come completerebbe questa proporzione: la gola sta alla Sicilia come…
Beh, trovandomi a Roma in questo preciso istante mi viene spontaneo rispondere: la gola sta alla Sicilia come il cacio sui maccheroni…
(pubblicato su Aroma di luglio/agosto 2008)