È un dato certo: mentre in termini assoluti l’occupazione femminile diminuisce, c’è un settore dove invece aumenta. I dati diffusi dall’ISTAT parlano chiaro: oggi, un’azienda agricola su tre è gestita da una donna. In tutto il territorio nazionale sono state censite ben 540 mila aziende al femminile. Si tratta di aziende d’impronta moderna in cui il biologico, le produzioni di nicchia DOP e IGP hanno un ruolo preminente. Senza contare tutte le aziende vitivinicole e le attività sensibili al sociale e all’accoglienza. Il 40% circa delle strutture agrituristiche è in mano a delle imprenditrici. E parlando in soldoni, su un fatturato annuo di 1,2 miliardi dell’intero settore, 500 milioni sono da imputare alle attività femminili. Guardiamo il caso dell’Alto Adige: 15.200 donne hanno fondato l’Associazione delle Donne Coltivatrici Sudtirolesi, il cui ruolo è quello di supportare l’attività delle contadine fornendo informazioni, organizzando corsi di formazione, valorizzando dette attività in vari modi e sotto diverse forme. Perché per una donna il discorso non si ferma alla coltivazione della terra. Una donna deve poter contare sull’assistenza all’infanzia e su tutta una serie di servizi utili alla famiglia.
Non a caso spuntano blog o siti nei quali trovare tanti input a sostegno dell’organizzazione familiare. Il ritorno alla terra infatti non è circoscritto alla sola attività di coltivazione ma anche a quello della convivialità e della condivisione. E in questo le donne sono maestre. Proprio perché la Terra è generosa, chi si avvicina ad essa non può non esserlo altrettanto. Ma come si è venuto a determinare questo fenomeno? Quali sono stati i meccanismi, le ragioni, che hanno spinto tante donne ad abbandonare carriere, scrivanie, impieghi più o meno di rilievo per imbracciare attrezzi agricoli, dare concimi e indossare tute e stivaloni? In principio c’era lo stress cittadino con i suoi ritmi frenetici, condito da uno smog sempre più intenso, invasivo e da rumori continui. A questo cocktail micidiale si è aggiunta la crisi. Una crisi determinata principalmente dai raid finanziari di individui senza scrupoli. Protagonisti della crisi, numeri, percentuali, strategie, tutti elementi astratti, lontani dal quotidiano, che ci hanno fatto capire quanto fosse importante il ritorno ad un’economia reale. Le donne per prime hanno compreso che il ritorno all’agricoltura e all’allevamento, fatto secondo canoni di modernità, nel pieno rispetto della natura e con un pizzico di fantasia, era una strada percorribile ed, economicamente parlando, molto vantaggiosa. Concretezza e fantasia, impegno e sensibilità ambientale, tenacia e passione: ecco gli ingredienti di quella che può definirsi una reale green economy. La crisi dunque come spinta a rivalutare le priorità della vita e sè stessi. Abbandonare tutto e lanciarsi in un progetto agricolo che implica tanta fatica, soprattutto fisica, e anche tanti rischi (legati alla meteorologia o all’attacco di parassiti, ad esempio) non è facile, però, a tanta fatica e dedizione corrisponde altrettanta soddisfazione. Così a detta delle donne che hanno abbandonato uffici, palestre, appartamenti a favore della campagna. Così anche a detta della coordinatrice nazionale di Coldiretti Donne Impresa, Silvia Bosco, che sostiene la “grande capacità imprenditoriale espressa dalle donne, la quale si manifesta nella loro attitudine di innovare e far crescere l’azienda grazie a nuove idee e alla loro fantasia”.
Lasciare la città come bisogno di vita, dichiarando senza indugi di averne ottenuto soprattutto un netto miglioramento della qualità della vita. Improvvisamente, malanni atavici come mal di testa, allergie, ecc., scompaiono. Anche il rapporto con i figli cambia. Questo tipo di attività regala più tempo da dedicare loro, senza contare che i piccoli hanno un approccio vero con la terra e gli animali e non quello raccontato a scuola o osservato andando allo zoo. Il 74% delle donne impiegate nel settore agricolo ha prole. Sarà un caso? L’ingegno è donna. C’è chi si è specializzata nella coltivazione degli aromi, chi coltiva biologicamente frutteti e vigneti, chi lotta in prima linea per la difesa della biodiversità. Attualmente si contano centinaia di donne che custodiscono semi e razze di animali a rischio di estinzione. Addirittura in seno alla Confederazione Italiana Agricoltura è stata istituita un’associazione di imprenditrici agricole, Donne in Campo, con l’obiettivo appunto di difendere il patrimonio biodiverso. Anche le donne della Regione Lazio non sono rimaste a guardare. Numerose sono le imprenditrici che hanno beneficiato del Piano di Sviluppo Rurale, fondi pubblici per rinnovare o avviare nuove attività. Concludiamo con due testimonianze emblematiche di questo trend. La prima vede protagonista Clementina Becarelli, 25 anni, da quasi un anno ha aperto con la madre Luciana la piccola azienda agricola “La Contadina” sulle colline di Montaione, in Toscana. Ha deciso di lasciare gli studi e dedicarsi anima e cuore alla sua fattoria. Restìa alla vita moderna, forte di una spiccata volontà, ha imparato tutto da autodidatta, leggendo vecchi libri che aveva in casa, compresa la mungitura. Il suo prossimo obiettivo è la vendita del formaggio che produce e l’accoglienza di scolaresche. Si dichiara felice e soddisfatta anche se non conosce svaghi e vacanze. L’altra racconta di un’insegnante di filosofia, Laura Polidori, romana cinquantaduenne, che di recente ha deciso di abbandonare rumori, frenesia e caos cittadini per aprire insieme al fratello un agriturismo a Volterra, in Toscana. Sacrifici, impegno molto più grande di quello inizialmente immaginato, non sono riusciti a frenare il suo entusiasmo e a farle dichiarare che mai e poi mai tornerebbe indietro.