Gli astronauti e il cibo. Un binomio che suscita da sempre tante curiosità e rievoca immagini di uomini che, in assenza di gravità, vagano sospesi nell’aria, inseguono sfere liquide fluttuanti nella cabina della navetta spaziale o deglutiscono pillole. Nell’immaginario collettivo la gastronomia spaziale, anche se ha fatto passi da gigante (quasi come quelli di Armstrong sulla luna!) si identifica ancora con tubetti simili a quelli usati per contenere il dentifricio. Dentro, cibo frullato da spremere direttamente in bocca. Immagini anacronistiche che risalgono a più di mezzo secolo fa, quando è cominciata l’avventura dell’uomo nello spazio. Era infatti il 1961 quando Gagarin fu “sparato” nello spazio. Da allora molto è stato fatto per allietare il palato degli astronauti. Dai tubetti ai contenitori di plastica, studiati appositamente per contenere non più un’insulsa poltiglia, ma cibi liofilizzati come carne, pesce, verdure e dolci, il progresso è stato rapido. Eppoi, la ricerca non si ferma mai. Nel 1969, anno in cui avviene lo sbarco sulla Luna, Armstrong e Aldrin passeggiano sulla crosta lunare mangiando panini con insalata e prosciutto reidratati con l’acqua calda.
Negli anni ‘70 spuntano finalmente il frigo con tanto di freezer per la conservazione degli alimenti e le posate convenzionali. Agli inizi degli anni ‘80 il menù dello spazio arriva ad avere 72 piatti studiati da esperti NASA del laboratorio creato ad hoc a Houston per studiare l’alimentazione spaziale, lo Space Food Systems. La lista comprende pietanze inimmaginabili prima: crema di funghi, uova strapazzate, zuppa di pollo e le ambitissime tortillas di farina. Negli ultimi dieci anni si è arrivati ad inserire anche il sushi e altre specialità internazionali. Il primo astronauta cinese, Yang Liwei, ha confessato di recente nella sua autobiografia che, oltre al pollo stufato e al pesce al vapore, ha mangiato carne di cane, sollevando dure proteste da parte degli animalisti. Lo scorso anno, in occasione dell’ultimo viaggio dello Shuttle, l’equipaggio ha mangiato un pasto tipico americano comprensivo di baked beans (fagioli cotti in salsa di pomodoro) e della classica apple pie.
Questo fino a ieri. Oggi è in atto una vera e propria rivoluzione. Dal concetto di nutrimento si è passati a quello più edonistico del piacere puro. E per concretizzarlo è stato chiamato uno chef italiano, Davide Scabin del Combal.Zero, ristorante due stelle Michelin del Castello di Rivoli, continuamente alla ricerca di nuovi stimoli e sfide. Un anno e mezzo fa Argotec, l’azienda aerospaziale di Torino che collabora con l’ESA, gli ha chiesto di pensare ad un menù da consumare in orbita. Il suo spirito eclettico lo ha spinto ad accettare immediatamente la sfida. Anche perché lui è innovativo di natura. Precursore del cibo futuribile, ha organizzato il ristorante di Rivoli come fosse un laboratorio di sperimentazione permanente, dove tutto parte da una base scientifica.
È suo lo “spaziale” Cyberegg, tuorlo d’uovo crudo con caviale, cipollotto e vodka servito in una camera d’aria di nylon. Pensando alle condizioni ambientali proibitive, sia pratiche che psicologiche, in cui sono costretti a vivere gli astronauti, ha dovuto mettere a punto una dieta che tenesse conto di vari fattori: valori nutrizionali, facilità di consumo, lunga conservazione, mantenimento delle caratteristiche organolettiche e nutrizionali degli alimenti. Oltre che, ed è la cosa più difficile, contribuire a mantenere alto l’umore di uomini lontani dagli affetti e dalle loro abitudini. Le difficoltà tecniche nascono dal fatto che la maggior parte dei cibi consumati nello spazio vengono cotti, liofilizzati e sterilizzati. Dopo tutti questi passaggi, cosa rimane del sapore e del gusto originari? Inoltre, in orbita, il gusto si affievolisce e allora si è dovuto ricorrere ad alcuni stratagemmi. Impossibile versare caffè in tazza perché il liquido si disperde nell’ambiente. Dunque viene aspirato da un sacchetto con una cannuccia. Lo stesso dicasi per l’acqua. Il latte viene invece sostituito dal Parmigiano Reggiano o dallo yogurt.
Il Martini in orbita si beve con una specie di biberon. In più, oggi si può reidratare i cibi a caldo mentre prima si faceva solo a freddo. Anche i colori sbiadiscono nello spazio perché certi piatti, dopo il processo di sterilizzazione, perdono le clorofilla, ma ad esempio le lasagne e la parmigiana mantengono il rosso, così come il risotto al pesto mantiene il suo verde acceso. Superato l’esame con i cinque astronauti dell’European Astronaut Center a Colonia, che hanno assaggiato le sue proposte, Scabin, ha già consegnato alla NASA le prime 300 porzioni. A novembre prossimo verranno caricate sulla Stazione Spaziale Internazionale (Iss) e così si potrà ben dire che la cucina made in Italy ha conquistato addirittura lo spazio!