Quando l’occhio non vuole la sua parte (golosa)
E’ vero che spesso si mangia prima con gli occhi, ma è altrettanto innegabile che l’aspetto estetico talvolta inganna accadendo che i cibi meno attraenti risultino però squisiti al palato. Prendiamo ad esempio tre delle vivande più pregiate e ricercate, il tartufo, il caviale e le ostriche.
Il primo è un fungo dalla forma di tubero bitorzoluto con superficie zigrinata, il caviale è una massa di piccole uova gelatinose, mentre l’ostrica (come molti altri molluschi, vedi ad esempio la cozza, magari pelosa come la tarantina, diventata addirittura sinonimo di scarsa avvenenza femminile) fa parte dei cosiddetti “brutti di mare”, proprio perché evidentemente molto lontani dalla perfezione estetica.
Ma giustamente quello che conta, per tutti e tre gli alimenti, così come nell’intero mondo del gusto, è il sapore tout court e non l’apparenza.
Nella cucina romana sono innumerevoli gli orrori gastronomici, in particolare frattaglie e interiora provenienti dalla ruvida tradizione popolare: cervello (una vera ricetta splatter), pagliata (intestino di vitellino da latte), coda, granelli (testicoli), rognoni (reni), animelle (ghiandole spugnose del giovane bovino) e altre prelibatezze dal look non proprio ammiccante. E che dire delle rane e soprattutto delle lumache, queste ultime amatissime a Roma come a Parigi, certo non invoglianti l’appetito con la loro consistenza molliccia, che neppure la più raffinata dizione francese “escargots” riesce a far dimenticare?
Pure il costoso piccione, assai richiesto nei ristoranti stellati nostrani e d’oltralpe, fra i pennuti è quello che più rassomiglia ad un pipistrello o a un uccellaccio della famiglia brutti sporchi e cattivi.
Sul suo diario di bordo Colombo annotò l’incontro con il gallino d’india, un enorme gallinaceo che lo impressionò per il suo aspetto quasi deforme e grottesco. Si trattava in realtà del tacchino, le cui carni – poco importa se provenienti da una creatura sgraziata e un po’ arcigna – sono oggi rinomate sulle tavole di tutto il mondo, in particolare durante il Natale. A proposito di banchetti natalizi, che dire poi del capitone o dell’anguilla, stretti parenti dei più viscidi serpenti, immancabili nel menu gourmet delle feste?
Anche il mondo vegetale ha la sua personale galleria delle brutture: carciofi (specie quelli spinosi), broccoli, carote, patate, cavoli, rape ecc a guardarli bene sembrano più degli scherzi della natura che dei leggiadri frutti della terra. Eppure, al di là di ogni pregiudizio di forma o d’immagine, sono genuine golosità che fanno anche bene alla salute, vedi ad esempio lo zenzero, una radice dalla forma contorta ma dalle preziose facoltà terapeutiche. La lista dei brutti ma buoni è ancora lunga e comprende pure i latticini, come il famigerato casu marzu (formaggio con i vermi) o il gorgonzola, che oltre alla vista è sgradevole anche all’olfatto.
In ultimo, per diritto di copyright, la nostra menzione d’obbligo è tutta per i biscotti brutti ma buoni, ovvero dei dolcetti mandorlati, molto apprezzati in Italia e a Roma, che devono il loro nome proprio al loro aspetto irregolare compensato dal gusto delizioso.