Non solo Heinz Beck, Oliver Glowig, Anthony Genovese, Angelo Troiani, Antonello Colonna o altri top chef in splendido isolamento nell’empireo della ristorazione romana, la scena gastronomica della Capitale – assai effervescente – vede affacciarsi una generazione di chef non proprio della serie “saranno famosi” (alcuni già lo sono), ma con tutte le carte in regola per “esplodere” nel prossimo futuro.
Dopo l’affermazione ormai consolidata di talenti come Adriano Baldassarre, Riccardo Di Giacinto, Iside De Cesare, Cristina Bowerman e Giulio Terrinoni – già premiati con la stella Michelin – ecco dunque arrivare alcuni assi dei fornelli (ARoma ne ha selezionato una decina, confidando di non incorrere in clamorose esclusioni), in taluni casi giovanissimi, in altri già vicini agli anta, in odore di stelle, forchette o altri prestigiosi riconoscimenti.
Ecco le loro carte di identità:
Simone Panella. Cresciuto nel ristorante di famiglia, la storica Antica Pesa, Simone Panella è uno degli esponenti di spicco della nuova cucina romana in cui, per dirla con le sue stesse parole, “l’antico viene interpretato con sensibilità moderna, senza stravolgerne la natura, tenendo conto delle esigenze contemporanee, ma sempre in continuità con la tradizione. Il nostro lavoro in cucina si basa infatti sul rispetto ma al contempo il rinnovamento della tradizione, attraverso tecniche moderne, ricerca sul territorio ed inventiva quando serve, senza forzature”.
Alcuni validi esempi della carta accordata alla stagione: carciofo alla giudìa con nocciole gentili e fonduta di caciofiore, hamburger romanesco (con salsicce di Monte San Biagio), pasta e fagioli con frutti di mare di Terracina e pomodori confit, millefoglie di porchetta d’Ariccia con mozzarella, indivia e salsa alle pere, tartelletta tiepida al cioccolato con ricotta romana e salsa di visciole.
Luigi Nastri. Allievo di Fulvio Pierangelini, Davide Scabin e Gennaro Esposito, Luigi Nastri del Settembrini è, per parere unanime della critica, uno degli chef più interessanti del panorama romano, autore di una linea mediterranea d’impronta squisitamente moderna, dai sapori netti e sfoltiti, molto amata dai foodies per le sue virtù di gusto e leggerezza: cocktail di triglie con maionese di frutti di mare, pappa al pomodoro con tortelli di provola affumicata e calamaretti, minestra di pasta mista di Gragnano con ceci e gamberi, guancia di manzo alla liquirizia con purè di patate, maialino con senape, cicoria e caffè, crème brulée al rabarbaro.
Una curiosità: lo chef è stato finalista nel contest Giovani Chef Emergenti 2009, vinto dallo chef abruzzese Nicola Fossaceca.
Francesco Pesce. 34 anni, autodidatta, ha lavorato al fianco di Salvatore Tassa, Noda Kotaro ed Enrico Crippa, che lui stesso considera i suoi maestri. Attualmente è attivo al ristorante di famiglia La Pace del Palato e lavora in qualità di consultant curando la creazione di ristoranti in fase di start up, tra cui alcuni locali di successo come Bucavino, Enoteca Baccano e Giannaccheri. Ottima tecnica, appresa alla corte dei grandi chef, ed una passione per il viaggio, anche all’interno dei sapori, “Dalla ricerca del perfetto baccalà dal nord al sud del Portogallo, alla scoperta della radice della cucina asiatica” per uno stile culinario strettamente legato alla creatività che, partendo dalla tradizione, sviluppi nuove possibilità in termini di tecniche innovative, ingredienti inusuali e accostamenti pirotecnici: lasagnetta croccante con calamari, olive, zucchine, crema di bufala e uova di pesce volante, tortelli ripieni di lingua su ragù di cannellini e salsa di sedano, maialino croccante su farro speziato e ristretto di latte di mandorle, panna aromatizzata al sigaro di Monte Cristo con cubi di cioccolato amaro e gelatina di rum.
Marco Bottega. 26 anni, esperienze da Salvatore Tassa, gestisce insieme alla famiglia l’attività di ristorazione all’interno dell’agriturismo Aminta, fra i Castelli e la Ciociaria. Lui stesso definisce il suo modo di fare gola una “cucina del cuore con tecnica al servizio della materia prima”, strettamente legata al territorio e alla raccolta stagionale. Il suo piatto forte è il cacio e pepe, difficile banco di prova per qualsiasi chef che si rispetti, mentre il suo lato creativo mostra ad esempio lo spiedino di lingua di manzo con zucca e chimo limoncino, la guanciola di manzo e ortaggi all’aceto di Xeres o la lepre bruciata, piatto di grande tecnica e sapore. Due curiosità: lo chef è uno dei volti noti de La Prova del Cuoco e nel 2010 è stato insignito del premio Provincia di Roma Giovane Ristoratore Emergente.
Francesco Magiar Lucidi. “Francesco Magiar Lucidi, appena 26 anni con un passato da Antonio Sciullo e George’s, è una delle grandi promesse della moderna cucina romana”. Parola del Gambero Rosso, che indica il ristorante Alchemilla, regno dello chef, come una delle realtà più innovative della Capitale: qui infatti i piatti non sono riconducibili allo schema del menù tradizionale italiano (antipasto-primo-secondo-dolce), ma sono creazioni estemporanee ispirate alla cucina spagnola. “L’idea è quella di offrire una cena giocosa e divertente – spiega Francesco – cambiamo i piatti ogni settimana, in modo che chi vuole tornare non rischi di trovare pietanze già provate”. Alcuni classici dello chef sono il cremoso di Parmigiano Reggiano stravecchio con velo di miele e aceto balsamico, il raviolone di patate con uova di salmone e puntarelle alla vaniglia, il risotto con tuberi selvatici in due consistenze, l’aringa affumicata con emulsione di caramello ed alghe e, in tema di dessert, il caramello con marmellata di sedano e biscotto al cioccolato.
Roy Caceres. 33 anni, origini colombiane ed esperienze prestigiose alle spalle, tra cui Il Pellicano di Porto Ercole (dove ha lavorato a fianco di Stefano di Salvo), La Locanda Solarola (1 stella Michelin) di Castel Guelfo, Il Pipero ad Albano Laziale ed infine il ristorante Metamorfosi a Roma, il nuovo palcoscenico goloso in cui lo chef esibisce grande tecnica senza nascondere il suo segreto: “La voglia di raccontare emozioni attraverso i piatti con un coinvolgimento totale dei sensi. La mia è una cucina che viaggia insieme alle stagioni, cogliendo i prodotti migliori, trasformandoli con rispetto ed esaltandone l’identità”.
Ecco alcune delle sue prove più riuscite: uovo 65° (cavolfiore, nocciole, caviale), spaghetti Masciarelli polvere e profumo di mare, leccia e brodetto di cozze con peperoni cruschi e cime di rapa, quaglia radicchio tardivo, foie gras e mele, cioccolato, banane caramellate e Armagnac.
Marco Gallotta. Classe 1974, trascorsi in notevoli ristoranti romani (Fauro, Antico Arco, Testa, ‘Gusto) è oggi chef e patron del ristorante Primo al Pigneto, E’ l’artefice di una cucina (inizialmente più tesa verso l’Oriente, oggi d’impronta romano-mediterranea) che “rivisita la tradizione proponendo piatti alleggeriti dai grassi e dalle cotture prolungate. Uno stile che punta ai sapori puri, semplici, ma intensi. Il punto di partenza è il gusto di piatti “di casa”, familiari e intimi, elaborati con attenzione e ripensati con stile e linearità. La ricerca è sui profumi del Mediterraneo, sui condimenti e su una ristretta selezione di prodotti laziali d’eccellenza”. Tra i cavalli di battaglia dello chef, agnello e cicoria di campo, spaghetti con bottarga e mozzarella di bufala, eliche al ragù di faraona, polpo al tegame, trippa di baccalà con fagioli, petto d’anatra arrosto con caponata di rape bianche.
Anna Impagliazzo. Originaria di Ventotene, sommelier con diploma di pasticcera (ha studiato anche alla Valrhona l’arte del cioccolato) ha scelto di ritornare nella sua amata isola, al ristorante di famiglia Il Giardino, per valorizzarne le risorse, in particolare i vitigni autoctoni, e la cucina dall’anima profondamente mediterranea, spesso interpretata in chiave deliziosamente creativa: fiore di zucca ripieno di lenticchie e pecorino, cracker di sgombro, paccheri con ragù di scorfano, linguine al dentice marinato, ricciola con cipolle rosa locali e come dessert “fuochi d’artificio di pistacchio” o semifreddo al limone e basilico.
Davide Cianetti. Eredita la passione per il cibo, in particolare per la lavorazione delle carni, dalla famiglia proprietaria di una macelleria. Dopo il diploma alla scuola alberghiera ha svolto alcune significative esperienze in Inghilterra e a Roma, al Red e al Convivio di Angelo Troiani, prima di approdare insieme alla moglie Katia ad un ristorante tutto suo, il Iolanda. Docente presso la scuola del Gambero Rosso, è attualmente in forza all’Os Club con una cucina tradizionale romana rivisitata secondo una sensibilità contemporanea: nove volte carciofo, il cacio e pepe incontra l’amatriciana, variazione di baccalà, maialino cotto a bassa temperatura con chutney di zucca, radicchio e senape di Dijon.
di Manuela Monteforte
(pubblicato su Aroma di luglio/agosto 2011)