A cento anni dalla sua scomparsa, AROMA ripercorre la vita e le opere del grande gastronomo e letterato, autore del primo manuale di cucina della storia italiana
Il 30 marzo 1911 a Firenze si spegne all’età di 91 anni Pellegrino Artusi, il padre della letteratura gastronomica italiana. Nato a Forlimpopoli, all’età di 32 anni si era trasferito con i genitori a Firenze portando con sé un sogno nel cassetto: dedicarsi alla letteratura e alla cucina. Grazie alla redditizia attività commerciale del padre, infatti, la sua famiglia gli aveva garantito libero accesso agli studi e Pellegrino aveva ben presto sviluppato una grande passione per la letteratura, pubblicando a sue spese due opere. Più remunerativa, quanto insolita, fu tuttavia la sua vocazione per la cucina che lo spinse, nel 1891, a pubblicare il primo manuale di cucina italiana “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”.
Universalmente noto come il pilastro di tutta la letteratura di settore in Italia, al pari di tutte le grandi opere il testo non ebbe un iter esente da imprevisti. Tante sono state le difficoltà incontrate dal povero Pellegrino, lanciatosi in questa impresa ambiziosa e folle per l’epoca: dare alle stampe un libro di ricette nazionali quando la cucina era ancora vincolata alla tradizione orale regionale.
Le svariate peripezie sono ben descritte nell’introduzione del manuale quando, ormai scongiurato il rischio di un colossale flop, lo stesso Artusi decide di togliersi qualche sassolino dalla scarpa svergognando tutti coloro che non avevano creduto in lui. Il testo si intitola proprio “Storia di un libro che rassomiglia alla storia della Cenerentola” e porta in dedica “vedi giudizio uman quanto spesso erra”, tanto la sua opera era stata inizialmente denigrata e bocciata, dapprima dagli amici, poi dagli editori ed infine persino dai concittadini che, avendone vinto una copia con la lotteria, l’avevano immediatamente rivenduta!
Ma Pellegrino non si era arreso, aveva tirato avanti e, credendo nel valore del suo scritto, si era preso l’azzardo di pubblicarne 1.000 copie a sue spese.
La scommessa si rivelò vincente: nel giro di pochi anni la tiratura passò da qualche migliaio a oltre un milione di copie vendute ad oggi, con 111 edizioni pubblicate e traduzioni in inglese, olandese, portoghese, spagnolo e tedesco.
Un successo che lui stesso spiega appellandosi ai tempi che cambiano: “stanno per finire i tempi delle seducenti e lusinghiere ideali illusioni e degli anacoreti; il mondo corre assetato, anche più che non dovrebbe alle vive fonti del piacere”. Parole che suonano come una profezia di ciò che sarebbe effettivamente accaduto.
Lungimiranza, ambizione e un pizzico di megalomania, quindi, le chiavi del suo rivoluzionario successo. Partecipe del clima di nazionalismo patriottico, di purismo scolastico e di marcata sensibilità pedagogica, l’Artusi si era lanciato, infatti, nell’ardua impresa di creare una tradizione gastronomica “nazionale”, mediando lo scambio gastronomico tra le regioni attraverso una vera e propria unificazione linguistica in ambito culinario. Per comporre il suo ricettario, si era impegnato nella raccolta delle principali ricette regionali, cercando di risolvere il problema delle differenze dialettali attraverso la creazione di un vero e proprio dizionario.
Un’opera di rottura, quindi, anche dal punto di vista letterario. L’Artusi per primo cambia il modo di rivolgersi al pubblico di lettori, osando quello stile garbato ed incline a divagazioni e spunti personali che sarà fonte di ispirazione per tutti i ricettari a seguire. Il suo tono confidenziale ed amichevole, oltre che rassicurare il lettore, stabiliva con lui un vero e proprio rapporto collaborativo, rendendolo complice e testimone della veridicità di una ricetta.
Artusi coccolò la sua creatura sino alla propria morte, integrandola ed arricchendola: il formato finale è quello che conosciamo oggi: 790 ricette che spaziano dai brodi, gelatine e sughi ai liquori, passando attraverso minestre, “principii” (antipasti), secondi e dolci.
Il suo è un ricettario semplice, pratico, per cui “basta si sappia tenere un mestolo in mano che qualche cosa si annaspa”, purché ci si metta passione, pratica e tanta voglia di superare le difficoltà. Insomma, un ricettario per molti aspetti ancora attuale, adatto a chi non abbia la pretesa di diventare “un cuoco di baldacchino”, ma di godersi il piacere dei successi che solo quella “bricconcella” della cucina sa regalare.
di Flavia Rendina
(pubblicato su Aroma di marzo/aprile 2011)