E’ il re del condimento agrodolce, sapore Dop dell’Emilia Romagna: l’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena, gemello quasi siamese del Tradizione di Reggio Emilia. Le notizie storiche che ne narrano l’origine sono davvero molte, sebbene spesso lacunose. Già dall’epoca degli antichi Romani, a Modena venivano prodotti diversi tipi di aceto ottenuti dal mosto d’uva a diversa gradazione zuccherina, Apicio lo enuncia puntualmente nelle ricette del suo “De re coquinaria”. L’aceto balsamico è nato come “balsamo medicamentoso e lenitivo”, ad uso esclusivo di imperatori, re e del clero: nel ‘500 Lucrezia Borgia lo assumeva per riprendersi dai dolori del parto, mentre Francesco IV duca di Modena ne portava con sé un paio di ampolle per curare i fastidi dell’ulcera. Sembra, però, che con il trascorrere degli anni si sia meritato l’aggettivo di “balsamico” anche dalla tradizione popolare per le sue varie proprietà terapeutiche, celebrato soprattutto come unguento con cui massaggiare la pelle. Lo scritto più antico di cui si è a conoscenza e che parla di Aceto Balsamico Tradizionale risale al 1046, quando Enrico III, in viaggio verso Roma per l’incoronazione, fece tappa a Piacenza. Ivi incontrò Bonifacio, marchese di Toscana e padre di Matilde di Canossa, al quale chiese di dargli in dono un aceto speciale che «aveva udito farsi colà perfettissimo». Da quel momento la produzione del balsamico si sviluppò sempre di più, fino a raggiungere il suo apice quando i duchi d’Este si trasferirono da Ferrara a Modena nel 1598: estremamente affezionati al suo gusto particolare, ne incentivarono la diffusione. La sua tradizione si è tramandata nelle famiglie modenesi di padre in figlio, arrivando intatta fino ad oggi. Il primo documento ufficiale per il riconoscimento della denominazione “Aceto Tradizionale di Modena” risale al 1933 ed il successivo decreto del 1965 ne identifica le caratteristiche di produzione e commercializzazione tuttora in vigore, a cui i produttori devono rigorosamente attenersi.
Non ci è dato sapere con certezza in quale contesto abbia avuto origine: se ne ipotizza una nascita casuale. Probabilmente un certo quantitativo di mosto cotto d’uva, la cosiddetta saba, il dolcificante utilizzato in passato nella cucina modenese, fu dimenticato in un vaso casalingo e ritrovato solo dopo un po’ di tempo quando già presentava segni di un’avviata acetificazione naturale, presentando un gusto dolce ed agro. Ciò che è certo, è che dal vino cotto è nato un ingrediente che non ha riscontro in nessun’altra cultura alimentare: l’aceto balsamico, questa straordinaria eredità del suolo estense, si sedimentò esclusivamente nel ristretto territorio dell’Emilia. La base del suo processo produttivo è il mosto di uve, Trebbiano o Lambrusco, che viene cotto per 24 ore, portato all’ebollizione fino a ridursi almeno alla metà e per concentrare tutte le sostanze indispensabili per ottenere il futuro condimento; successivamente fatto riposare e maturare per lenta acetificazione (che deriva dalla naturale fermentazione) in una batteria di botticelle di legno di varie essenze e dimensioni. Quindi, per almeno 12 anni, viene ripetutamente travasato in botti sempre più piccole, di legni diversi, che imprimono ciascuno una nota caratteristica al bouquet dell’aceto balsamico.
Ogni legno, infatti, cede all’aceto una personale caratteristica: il castagno, ricchissimo di tannini, contribuirà al caratteristico e luminoso colore bruno; il ciliegio, dolcissimo, donerà il piacevole e tipico gusto; il gelso ne concentrerà più rapidamente la consistenza; il ginepro, ricco di gradevoli essenze resinose, aromatizza i rari sentori, mentre il rovere, dai pregiati sentori legnosi, rende l’aceto unico e prezioso. Alla fine, da 350 chili d’uva si ricavano, sì e no, 15 litri d’aceto. Un liquido bruno, denso, sciropposo, con un profumo penetrante e un sapore agrodolce vellutato. Sulle pietanze crude ne basta una lacrima, perché sprigioni tutto il suo magico gusto. L’aceto balsamico è oggi variamente usato nella gastronomia: principalmente quale condimento per insalate, pinzimoni o salse; quale elisir per insaporire formaggi, macedonie di frutti di bosco, creme pasticciere, gelati, panettoni e strudel. Dimenticate, sembrano invece, almeno per ora, le sue doti medicamentose da utilizzare come base per creme ed unguenti, a tutto vantaggio delle priorità golose.
Risotto provola affumicata e Champagne con gocce di aceto balsamico
Ingredienti per 6 persone: 500 gr di riso Carnaroli, 200 gr di provola affumicata, 100 gr di burro, 6 dl di brodo vegetale, 1 dl di Champagne, 1 scalogno, sale, olio e vino q.b., Aceto Balsamico Tradizionale di Modena per decorazione. Preparazione: Far stufare in un tegame capiente lo scalogno tritato insieme ad un goccio d’olio. Aggiungere il riso, farlo tostare e quindi salarlo. Sfumare con mezzo bicchiere di vino bianco frizzante. Continuare la cottura con il brodo. A metà cottura aggiungere metà provola precedentemente tagliata a dadini. A cottura ultimata mantecare il risotto con la noce di burro, il parmigiano e un goccio d’olio. Alla fine aggiungere lo Champagne e servire decorato con delle fettine sottili di provola e gocce di Aceto Balsamico Tradizionale di Modena.
Chef Silvio Catarinozzi. Ristorante Harry’s Bar. Roma.