La moda di mangiare cibo etnico in Italia è venuta intorno alla fine degli anni ‘70, quando timidamente a Milano, Firenze e Roma aprivano i primi ristoranti cinesi. Ma in realtà la Cina, da noi, non si è mai seduta veramente a tavola perché fin dall’inizio il sapore dei suoi piatti è stato subito adattato al gusto italiano, stravolgendo completamente la vera tradizione di Shangai e Pechino.
E se oggi la cucina cinese sta scomparendo pian piano dalle nostre abitudini del mangiar fuori – tanti ristoranti riconvertono le loro cucine all’italianissima pizzeria! – questo certo non si può dire della cucina giapponese che, dopo essere stata per molto tempo fenomeno di nicchia solo per veri intenditori con possibilità di spendere visto l’alto prezzo medio di una cena, oggi è ormai a portata di tutti.
Questo perché i suoi capisaldi, i famosissimi sushi e sashimi, per la loro natura di finger food (cibo da mangiare con le mani), si sono prestati subito ed ottimamente ad accompagnare il rito dell’aperitivo prima a Milano poi a Roma. Oggi nella nostra città ci sono diversi indirizzi dove recarsi a colpo sicuro per ma giare giapponese e una nota catena di cucina take away sta aprendo sempre nuovi punti in diversi quartieri riscuotendo ampio successo. Cerchiamo di comprendere meglio origini, tecnica e filosofia della cucina del Sol levante.
In Giappone la parola sushi si riferisce ad una vasta gamma di cibi preparati con riso. Le sue origini ufficiali risalgono ai primi anni del 1800, quando a Tokyo lo chef Hanaia Yonei ha ideato il primo sushi: è stato lui il primo a servire sul suo banco bocconcini di riso aromatizzati all’aceto con sopra fettine di pesce crudo.
Al di fuori del Giappone viene spesso inteso come pesce crudo. Il sushi è un cibo a base di riso cotto con aceto di riso, zucchero e sale e combinato con un ripieno o guarnizione di pesce, alghe, vegetali o uova. Il ripieno può essere crudo, cotto o marinato e può essere servito disperso in una ciotola di riso, arrotolato in una striscia di alga o disposto in rotoli di riso o inserito in una piccola tasca di tofu.
Tra i sushi più richiesti e mangiati a Roma ci sono i makizushi (polpettina cilindrica formata con l’aiuto di un tappeto di bambù detto makisu e avvolto nel nori, un foglio di alga seccato che racchiude il riso ed il ripieno) e I temaki (polpetta a forma di cono, con il nori all’esterno e gli ingredienti che sporgono dall’estremità larga, lungo dieci centimetri, da mangiare con le mani). Considerato in patria la fomra di cibo più nobile, il sashimi consiste principalmente in pesce o molluschi freschissimi, tagliati in fettine sottilissime e serviti solo con una salsa in cui intingerli (salsa di soia con wasabi o salsa ponzu) e un semplice abbellimento come radici di daikon tagliata in filamenti.
Alcuni ingredienti, come il polpo, sono di solito serviti cotti, ma la maggior parte, come il tonno o altri pesci, sono serviti crudi. Ingredienti poco comuni, ma non inusuali, sono cibi vegetariani come lo yuba, o carni rosse crude di manzo o cavallo.
Il nome sashimi proviene dalla pratica di infilare una coda di pesce sulle fettine per far sapere che pesce si sta mangiando. Il sashimi è praticamente sempre la prima portata del pranzo giapponese formale deve essere mangiato prima che altri più forti sapori influenzino il palato. I giapponesi spesso mescolano il wasabi direttamente nella salsa di soia quando preparano la salsa in cui intingere il sashimi, mentre questo non avviene quando si mangia il sushi.