Molti lo considerano schivo, allergico ai convenevoli, quasi scontroso. Per altri è l’incarnazione del genio e sregolatezza. In realtà qualunque etichetta gli va stretta perché Salvatore Tassa è fondamentalmente un ribelle di natura, in cucina, ma anche nella vita. Al punto di autodefinirsi Libero Cuciniere. Pochi forse sanno che, oltre ad amare i fornelli, con i suoi annessi e connessi, è da sempre un grande appassionato delle due ruote e che, proprio per via di questa passione, è stato vittima di un rovinoso incidente che gli ha causato non pochi problemi fisici, ad oggi ancora non del tutto risolti. Altra passione gli studi di architettura, messi improvvisamente da parte, dopo ben sedici esami, per dare libero sfogo al suo amore per la cucina. Anche se in seguito si è reiscritto all’università concludendo il suo ciclo di studi con una tesi in antropologia, incentrata sulla ricerca degli elementi primordiali dell’esperienza umana attraverso piatti e ricette. Ma il carattere controcorrente di Salvatore non si esprime tanto a cavallo di una potente moto o nelle sue propensioni da esteta, bensì proprio attraverso la sua professione di chef che, per scelta di cuore, svolge ad Acuto, un paesino della Ciociaria di quasi duemila abitanti. Uno chef del suo calibro infatti, ammirato a livello internazionale, potrebbe esercitare ovunque, ma lui ha scelto di restare là dove sono piantate le sue radici. E allora, per coloro che decidono di andare a Le Colline Ciociare, non resta che imboccare l’autostrada e procedere in direzione di Anagni, percorrere ancora una quindicina di minuti di strada ed infine arrampicarsi su per il pendio di Acuto, insospettabile meta gourmet.
Perché hai scelto di restare nel tuo paese d’origine?
I motivi sono tanti e tutti correlati, primo fra tutti il desiderio di continuare “l’opera” cominciata dalla mia famiglia che, proprio qui, nel ’59, ha aperto una trattoria senza pretese ma già allora con il pallino di ricercare e cucinare prodotti genuini. Poi, l’amore e il rispetto di questa terra, troppe volte bistrattata, dimenticata, sottovalutata e, a volte, anche derisa. La Ciociaria per me non è solo un’area geografica o, più romanticamente parlando, il luogo delle mie radici. La Ciociaria racchiude in sé il filo che mi lega alla Terra passando per il cuore e l’anima.
E’ partendo dalla terra, da questo spicchio di Lazio in particolare, che hai tratto l’ispirazione per creare molti dei tuoi piatti?Assolutamente sì. Per la loro realizzazione parto dal concetto di Terra e dagli elementi messi a disposizione dell’uomo dall’Universo. Una volta presa coscienza del territorio, rispettandolo innanzitutto, poi ponendomi al suo ascolto e dialogando con esso, riesco ad entrare in contatto con sapori, odori e con tutto quello che la natura trasmette e regala. Partendo dunque da quello che io chiamo il ”sesto senso”, affino delle tecniche per la preparazione degli elementi della Terra fino ad arrivare a realizzare una cucina che rappresenti dunque il mio approccio heideggeriano della Natura. In parole povere, se ho necessità di prendere un ramo da un albero, prenderò quello di cui l’albero può fare a meno. Cercherò insomma di non usare nei suoi confronti una violenza gratuita. Gli insegnamenti di Sant’Agostino poi, mi guidano affinché io non perda mai di vista i dettagli e le cose della vita invisibili all’occhio umano ma fondamentali per trovare sé stessi e soddisfazioni autentiche.
Alle spalle una famiglia di ristoratori, un habitat che si presta in modo naturale ad appoggiare ed esaltare la tua cucina, insomma un cammino intrapreso con solide basi. Ovvio però che anche tu, come chiunque, avrai incontrato degli ostacoli.
Mio padre mi ha insegnato a non chiedere mai niente a nessuno non già per presunzione o superbia, ma per una questione di dignità. Paradossalmente ho incontrato molti ostacoli proprio qui, perché i ciociari purtroppo, per motivi che risalgono alla notte dei tempi, sono incapaci sia di aggregazione che di dare valore aggiunto alle ricchezze presenti nel territorio. Un esempio per tutti. Per circa tre anni ho partecipato intensamente alle attività ed iniziative della Pro Loco di Acuto. Il mio coinvolgimento era tale da far sorgere in alcuni il dubbio che volessi, prima o poi, scendere in politica. Per questo motivo tutte le mie proposte sono state alla fine bloccate.
Quale Paese ti incuriosisce dal punto di vista gastronomico?
Tutti e nessuno. Di sicuro laddove posso insegnare ed imparare allo stesso tempo. Il nord Africa ad esempio lo considero un Paese incontaminato gastronomicamente parlando, quindi ideale per trasferire tante conoscenze. Ma anche in una metropoli come Hong Kong, dove sono presenti tutte le cucine del mondo, potrei portare qualcosa di mio. L’importante è come ci si pone. Per me quel che conta è stare bene con me stesso e ciò è possibile solo se non si ricerca la materialità, ma la serenità interiore, imprescindibile anche quando si cucina. Solo così riesco ad appassionarmi al mio lavoro. E ad avere speranza di lasciare un segno nella storia, obiettivo primario del mio lavoro.
Come definiresti la tua cucina?
Sicuramente non è una cucina di ricette, ma di concetto. Il concetto imprescindibile del rispetto dell’uomo nei confronti della Terra. Sicuramente non è una cucina banale perché non si può pagare cento e più euro per mangiare in modo scontato. La mia è una cucina che ha alle spalle il mio vissuto, i profumi ed i sapori della mia infanzia, oltre all’esperienza di tanti anni di duro lavoro. La mia è una cucina che implica anche una continua ricerca mirante all’estetica del gusto. Una cucina mai statica ma anzi, al contrario, in continua evoluzione. Da tutto questo scaturiscono piatti come la minestra di cicorie selvatiche che si prepara direttamente a tavola e si basa su erbe che raccogliamo, una per una, nei boschi limitrofi, le quali vengono “massaggiate” con olio extra vergine d’oliva, liquirizia e polvere di cannella. Oppure gli scampi dell’Adriatico affumicati e scottati appena, adagiati su letto di foglie di bosco, cipolla abbrustolita ed erbe aromatiche. Con questo piatto esprimo la terra che invade il mare. Sembra paradossale e forse provocatorio visto che ci troviamo in collina ma ad Acuto si avverte il profumo della salsedine portato dal vento marino che passa attraverso i boschi. La mia, infine, non è certamente una cucina di facile realizzazione nel senso dell’originalità perché uso prevalentemente ingredienti poveri e sempre gli stessi. Molto più facile impiattare ingredienti “piacioni”. Per questi motivi la mia cucina d’avanguardia risulta per alcuni di difficile comprensione, almeno nell’immediato. Tuttavia, ritengo che se un piatto piace a tutti non è un successo. Non mi interessa avere l’approvazione unanime Preferisco le critiche perché sono stimolanti. In qualunque caso, i miei piatti devono essere spiegati nel dettaglio affinché se ne possa comprendere il messaggio che voglio trasmettere.
In tema di evoluzione continua della tua cucina, la cipolla fondente e l’agnello sono tuttora i tuoi cavalli di battaglia, i piatti che ti rappresentano al meglio?
Devo molto a queste due realizzazioni culinarie ma oramai le considero superate. Oggi non miro più al singolo piatto, ma tendo piuttosto a creare piatti accumunati tra loro da un filo conduttore. Il mio desiderio è di condurre per mano chi sceglie la mia cucina in un percorso gustativo unico e indimenticabile.
Numerosi e prestigiosi sono i riconoscimenti ricevuti in tanti anni di attività, ma qual è quello a cui tieni maggiormente?
Pur ringraziando quanti fino ad oggi hanno riconosciuto il mio merito, devo confessare che per la mia professione non considero fondamentali i premi, tanto è vero che non me ne sono mai servito, non li ho mai ostentati e anzi, mi sono ogni qualvolta meravigliato di averne ricevuti perché considero normale lavorare bene, con scrupolosità, con coscienza ed etica professionale. Un episodio esemplificativo per tutti: quando mi hanno attribuito il premio per la prima cucina del Lazio, non mi sono recato a ritirarlo e mi hanno dato dello snob. In realtà quel giorno non avevo lo stato d’animo giusto e non ci sono andato. Penso che il riconoscimento più importante sia la considerazione che ricevo dai giovani. Ecco, se proprio devo dirla tutta, vorrei arrivare a 80-90 anni ed avere ancora attorno a me giovani che mi rivolgono domande, che vogliono imparare le mie tecniche e la mia filosofia di libero cuciniere. Un altro grande risultato è ottenere stima e apprezzamenti da parte dei colleghi.
Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Concentrarmi sul mio nuovo menù Inizio con il quale cerco di sottolineare ulteriormente, rispetto al passato, l’aspetto dualistico tipico dei miei piatti, ovvero la copresenza di due cotture diverse o l’accostamento, giudicato impossibile, di alcuni ingredienti. Come la triglia cotta in forno avvolta nella carta da forno spennellata con la liquirizia e insaporita con la melissa, di cui vi espongo qui sotto la ricetta. Il cartoccio resta aperto per permettere all’aria di passare. O come il pre dessert di sorbetto di pera affumicata con granita di muschio e uno sciroppo ottenuto dalla macerazione delle gemme di abete conservate in un barattolo con il miele.
Triglia alla melissa e liquirizia
Ingredienti per 4 persone: 4 filetti di triglia, melissa fresca, liquirizia, olio, carta da forno.
Procedimento:
Preparare 4 rettangoli di carta da forno di 15 cm x 35 cm. Pulire i filetti di triglia e mettere da parte. Tritare la melissa finemente. Mettete davanti a voi il foglio di carta dal lato più corto e adagiate piccoli ciuffi di melissa al centro. Poggiare sopra il filetto di triglia e spennellatelo con una soluzione di acqua calda e liquirizia, 1/2 bicchiere di acqua calda e un cucchiaio di liquirizia (nel caso in cui non aveste la liquirizia in polvere, usare 3/4 pastiglie di liquirizia pura). Chiudere il foglio a mo’ di sigaretta lasciando aperte le due basi e infornare per 3 minuti a 180°C.
Poggiare su di un piatto e servire.
di Elisa Santurri
(Pubblicato su Marzo/Aprile 2012)