No, non fanno uova d’oro come Esopo aveva descritto in una sua celebre favola, ma sono comunque preziosissime le ormai celebri 1.200 galline livornesi di Paolo Parisi, l’estroso gourmet che si occupa di allevamento di maiali, manzi e, appunto, galline, sin dal 1981.

Un passato da rappresentante di apparecchiature mediche e una passione per la natura, la terra e gli animali, di se stesso dice: “Io sono un creativo. Magari non nel senso convenzionale del termine: non disegno, non scrivo romanzi, non compongo musica. Io creo cose buone. Delizie per il palato con cui altre persone in cucina possono giocare per inventare sapori nuovi, con una materia prima antica come il mondo eppure inedita“.

Aria aperta, alimentazione che si basa prevalentemente sull’assunzione di diversi tipi di cereali e, apparentemente, un elemento a dir poco bizzarro, latte di capra appena munto: questi gli “ingredienti” per rendere uniche le sue uova, dall’inconfondibile sapore fine e delicato e, proprio così, da un piacevolissimo retrogusto di mandorla. Fulvio Pierangelini, Carlo Cracco, Massimiliano Alajmo e Massimo Bottura, tra gli altri, usano esclusivamente le uova di Paolo Parisi per le loro gustose creazioni, con esse da Roscioli preparano la rinomata carbonara, e ancora Davide Scabin le privilegia per il “cyberegg” , la sua nota stravaganza culinaria.

Pare proprio che siano impareggiabili quanto a finezza e cremosità, perfette per la maionese o anche solo per un uovo sbattuto: ricche di Omega3 e capaci di incorporare più aria (tre volte più del normale perché contengono meno acqua e più grassi) delle altre uova di produzione industriale “corrette” con coloranti e proteine, si nutrono dell’ambiente in cui vivono, incontaminato, e sono l’ideale anche per la lavorazione di una pasta fresca, che risulterà essere incredibilmente più leggera, porosa e compatta.

Il business di Paolo Parisi, di cui ormai le uova sono diventate la punta di diamante, in realtà coinvolge anche altri settori. Nel 1989 accetta di raccogliere la sfida di riportare la cinta senese alla sua autentica e originale filiera di produzione: cura un allevamento di maiali liberi di pascolare per i boschi del suo agriturismo e nutriti esclusivamente con i prodotti della terra, tra cui ghiande e pinoli: hanno origine così finocchiona, lonzino, capocollo e lardo dal sapore ineguagliabile. Successivamente, Paolo si è occupato anche dei manzi Angus riuscendo a riabilitare il gusto e la tipica morbidezza di quelle carni di cui, dopo anni di incontrollate contaminazioni, si era ormai perso l’originario sapore.

“L’ultima sfida”, come la chiama lui “per creare un uovo particolare, pulito, dal gusto – di fresco – che le uova, anche le migliori della filiera moderna, negli ultimi anni hanno praticamente perso per strada.” Vinta, anch’essa, a pieni voti…

La ricetta : La carbonara a crudo

“Mettiamo su la pentola della pasta, acqua abbondante, lo sapete, dovrebbe essere un litro per etto di pasta secca. Io uso la pasta di Caponi di Pontedera fatta con le mie uova, tagliolini, cuociono in 2 minuti. E’ una pasta laminata all’uovo poi tagliata e seccata a bassa temperatura: una pasta di lusso… costa 7 euro mezzo chilo, ma ne vale la pena e come tutto il resto si può comperare da me telefonandomi. Intanto, mentre l’acqua raggiunge il bollore, battiamo i tuorli delle mie uova con reggiano stravecchio di Gian Luca Bonati, almeno un 4 anni. Meglio sarebbe metà reggiano e metà pecorino romano di Lopez, un po’ di prezzemolo tritato a coltello più un goccio di crema di latte, deve risultare denso ma liquido e le uova devono essere almeno un tuorlo a commensale, ogni due anche un bianco.

Si può eccedere nel numero delle uova, ma dipende dal coraggio… in realtà si può tranquillamente fare, sono convinto che qualche uovo in più, di questa qualità, non possa che fare bene. Mi raccomando: le uova con il resto vanno battute meno possibile quindi è consigliabile mettere tutto insieme in una ciotola, che deve essere abbastanza grande da poi contenere la pasta scolata, e poi amalgamare senza accanirsi. Solo alla fine una minuscola scorzetta di limone. Sempre attendendo il bollore possiamo preparare il mio guanciale affumicato: fettine di circa 2 millimetri da cui poi ricaviamo dei fiammiferini, la cosidetta julienne. Mettiamo la julienne nel congelatore su un piatto, il grasso è talmente fondente che va fermato con il freddo. Si può anche preparare prima di mettere l’acqua al fuoco se no si rischia di avere troppe cose da fare con l’acqua che bolle inutilmente.

Ultima fatica, tritiamo sempre a coltello un po’ di cipollina o aglio sgermogliato, cioè privato del germoglio centrale. Se l’acqua bolle ora possiamo salarla, possibilmente con sale dell’Atlantico, contiene meno sodio e più magnesio: infatti dà l’effetto salato in bocca senza l’amaro nè l’ustione del sale. A coperchio dell’acqua che bolle mettiamo una padella con 20 cl di olio a commensale, l’olio si scalderà e noi ci metteremo l’aglio o la cipollina che sia. Il panico può arrivare solo ora, quando certi della cottura a piacere nostro della pasta dobbiamo prepararci come per un lancio spaziale.

Avremo davanti a noi la tinozza con il composto: uovo, parmigiano, prezzemolo, crema di latte e scorzetta minuscola di limone, la padella con olio e l’aglio o cipollina tritata. Diamo un’ultima girata al composto e buttiamo la pasta scolata bene nell’olio. Ricordiamoci di tenere un po’ da parte di acqua della pasta, può servire in caso si sbagli qualcosa magari nelle dosi, e la pasta si impacchi.

Girata la pasta nell’olio la mettiamo nella ciotola del composto d’uovo, bisogna girarla in maniera veloce se no si rischia che il calore della pasta faccia cagliare l’uovo. Nel momento in cui siamo sicuri della tenuta dell’effetto bava, buttiamo il guanciale direttamente uscito dal congelatore e regoliamo il liquido sul fondo della coppa. La pasta, girandola, deve sempre rimanere fluida non frenarsi mai, eventualmente aggiungiamo un filino di acqua della cottura pasta per aiutarci, mentre si amalgama si deve sempre apprezzare un po’ di liquido sul fondo.

A questo punto manca solo pepe nero di mulinello prima dell’ultimo giro. Serviamo ora direttamente sui piatti dei commensali usando una grossa forchetta: arrotoliamo su questo forchettone due o più rotoli da adagiare su ogni piatto. Tocco finale il cucchiaio, che raccoglie sul fondo della ciotola liquido e condimento e nappa i rotoli di taglierini in ogni piatto. Naturalmente tutto ha una semplicità apparente ma l’attenzione ai particolari come la consistenza, il taglio, la temperatura, le qualità aromatiche delle materie prime ed altro fanno la differenza e possono far diventare la più scontata delle ricette un piccolo capolavoro.

Così un’esecuzione come questa può, fame a parte, dare un carico emozionale paragonabile alle emozioni raggiungibili forse a quando si compone un brano musicale, o almeno a quando lo si ascolta. Il trucco sta tutto nel tendere a sollecitare il cuore attraverso i sensi, è la volontà di cedere noi stessi agli altri esprimendo quello che pensiamo sia il meglio di noi, un atto di amore caloroso e spontaneo come tutte le espressioni di un creativo: musica, cibo, immagini, sapori che evolvono attimo dopo attimo all’interno della nostra bocca; profumi, consistenze, appagamento, il vino giusto che intervalli in armonia o contrasto che si voglia.

Ora solo l’assunzione di un tale piacere, e naturalmente la traccia giusta che culli le nostre orecchie e tocchi il nostro cuore, sicuramente sarà stata partorita con l’amore paragonabile a quello che si metterebbe nel preparare un semplice piatto di pasta ad un nostro amato”.

Brano consigliato: Rain di Ryuichi Sakamoto, album 1996, durata 3’38’’

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(pubblicato su Aroma di novembre/dicembre 2010)