La guida Zagat compie 31 anni. Il mitico libretto tascabile color bordeaux prende il nome dei suoi fondatori, gli avvocati Tim e Tina, che nel 1979 per hobby iniziarono a redigere una newsletter raccogliendo i giudizi dei loro amici e conoscenti sui ristoranti di New York. In breve tempo diventò un gioco che coinvolgeva centinaia di persone, comuni frequentatori di ristoranti e gourmet. L’innovativa filosofia della guida è intrinseca allo spirito americano: un approccio democratico in virtù del quale sono gli utenti stessi, cioè i fruitori del servizio, ad esprimere un giudizio sui locali.
“Il New York Times e il New York Magazine – chiosano i coniugi Zagat – scrissero che la nostra idea era geniale, ed anche il business generato assolutamente unico. Si tratta del libro più venduto ogni giorno a New York e solo in città nel 2008 ha superato le 650 mila copie”.
Anche se presente in varie città (85 per l’esattezza) negli Usa, in Europa ed in Oriente la Zagat per antonomasia è la guida di New York, che viene aggiornata 7 volte l’anno e costa meno di 11 euro. 300.000 persone votano regolarmente sul sito e di queste 30.000 vivono a New York, ognuna di loro riceve una guida in omaggio. Danno il loro giudizio votando 3 categorie: cibo, ambiente, servizio e poi i Zagat integrano le informazioni con i dati sul prezzo, orari e indirizzi.
Il punto di forza della guida sono le classifiche in cui sono elencate le migliori scelte per ogni tendenza di cucina, per incontri di lavoro, per chi ha i bambini, per chi vuole una serata romantica e poi ancora i posti più riservati, quelli più trendy, quelli per “vedere ed essere visti” e quelli dove paga l’ufficio.
Questo il segreto del successo Zagat. Il bello della Zagat è anche il marketing, con le sue grandi vetrofanie molto chiare e visibili sulle vetrine dei ristoranti e negozi, anche se è vero che le etichette “Zagat rated” cominciano ad essere un po’ inflazionate. Commenta la giornalista enogastronomica Annie Shapero: “Considerando che non è previsto nessun rimborso spese, la maggior parte dei redattori non va a mangiare nei locali, quindi scrive tutto in base a quello che i proprietari dicono, o peggio, quello che dice il sito internet.
Per quanto riguarda il sondaggio online, sembrerebbe abbastanza affidabile, ma non si sa mai. Quando si tratta di contare i voti (la politica recente insegna), negli Usa sorgono sempre dei dubbi. Zagat serve piuttosto ai turisti. I newyorkesi, scettici per natura, si fidano di più delle recensioni del New York Magazine del New York Times e altre piccole pubblicazioni specializzate”.
Comunque molto popolare negli States (gli americani sono naturalmente propensi a condividere conoscenze, opinioni, consigli su tutto lo scibile umano), divenuto un vero marchio di fabbrica, il metodo Zagat non funziona però in tutto il mondo. Zagat Rome, ad esempio, mette alla rinfusa ristoranti di tipologie diversissime tra loro, adottando un metro di giudizio identico per trattorie e grandi ristoranti, risultando pertanto poco credibile.
Sul suo blog www.ilpaperogiallo.it Stefano Bonilli racconta del vano tentativo, qualche tempo fa, di importare il metodo Zagat in Italia facendo la guida di Roma con le segnalazioni dei lettori del quotidiano La Repubblica: “Risultò primo un ristorante sulla Tiburtina. Il metodo era stato semplice, il ristoratore aveva acquistato 1.000 copie del quotidiano e si era votato. La Zagat Italia non vide mai la luce”. A dire la verità il primo esperimento similZagat in Italia (Harden’s a Londra) c’è: Il Mangelo, con le edizioni di Milano e di Roma sia in italiano che in inglese, giunto alla sua quinta edizione. Un progetto editoriale notevole targato Zagat, che riguarda l’Italia anche se Oltreoceano, merita però la menzione d’onore: la “America’s 1,000 “Top Italian Restaurants” è la guida ai migliori ristoranti italiani in 53 dei maggiori mercati degli Stati Uniti realizzata da Zagat Survey, di Tim e Nina Zagat, fondatori e presidenti di quest’ultima, per Buonitalia Spa, a suggellare la leadership dello stile alimentare italiano negli Usa.
(pubblicato su Aroma di gennaio/febbraio 2010)