La crisi che morde l’economia ormai da qualche tempo non ha solo una valenza negativa o addirittura catastrofica ma rappresenta, come è già stato detto tante volte senza retorica, la straordinaria opportunità – per chi voglia tenerle testa – di dimostrare la propria intraprendenza, magari facendo leva su risorse inedite, come la fantasia o la psicologia.
Un esempio potrebbe essere la tendenza made in USA, patria indiscussa del marketing, di elaborare menù “pubblicitari”, composti cioè da voci studiate apposta dagli esperti per mandare messaggi subliminali e sedurre il cliente. Alcune indagini condotte da società specializzate – che analizzano gli orientamenti dei consumatori cercando di carpirne i segreti – dimostrano infatti con rigore scientifico una serie di “codici” comportamentali ravvisabili nell’approccio al menù di un ristorante: è provato infatti che il simbolo della moneta accanto ai piatti funzioni da deterrente per chi sia in procinto di scegliere una vivanda (meglio quindi ometterlo), così come il formato stesso della carta (se di grandi dimensioni può sembrare che i piatti siano più costosi) o la grafica troppo preziosa.
Per invogliare il cliente a scegliere quella portata preferibile ricorrere a vecchi trucchi che puntino ad una descrizione dettagliata dei piatti, anche semplici, sottolineando la freschezza dei prodotti impiegati e la loro genuinità, magari richiamandosi alla tradizione, in particolare familiare. Pare che le voci più gettonate, almeno a sentire i consulenti di cui sempre più spesso si avvalgono i locali d’Oltreoceano, siano le cucine della mamma e della nonna, sinonimo di ancestrale, rassicurante bontà.
In Italia le altre parole magiche, capaci cioè di sollecitare l’inconscio dei clienti, sono almeno tre: mediterraneo (coniuga gusto e leggerezza), territorio (fiera appartenenza identitaria alla terra madre) e tradizione (il sapore del passato che ritorna) meglio se rivisitata (per un indispensabile aggiornamento ai gusti contemporanei). Molto in voga anche, per coloro che sono più sensibili alle ragioni dell’etica ambientalista, i cosiddetti menù a km zero, che sfruttano cioè materie prime raccolte nelle immediate vicinanze della zona in cui si trova il ristorante, contribuendo quindi a ridurre l’inquinamento causato dal trasporto delle merci.
Anche la lavagna con le scritte in gesso dei piatti del giorno coglie sempre nel segno: pure qui comunica un senso di “casa” e di confortante atmosfera domestica. Tutte regole d’oro, puntualmente citate da Allen H. Kelson nel suo libro ” I dieci comandamenti per un menù di successo“, che forse anche i ristoratori italiani troverebbero utile leggere per imparare le basi della food psicology e fare quadrare i conti in tempi di magri bilanci come quelli correnti.
(pubblicato su Aroma di marzo/aprile 2010)