Sono stati accusati di disturbare il mercato e di costituire una scelta pauperista… In realtà, rappresentano una “nuova economia”, fondata su una profonda critica al consumismo e sulla capacità di “far gruppo” in caso di necessità, che è una capacità tutta italiana. Ecco perché andar fieri dei nostri GAS.
Nel 1992 un gruppo di famiglie di Fidenza si organizza per acquistare insieme prodotti biologici e locali: è nato il primo GAS, ovvero, “Gruppo di Acquisto Solidale”. Cinque anni dopo, nel 1997, nasce la rete dei GAS italiani e oggi i GAS ufficiali sono almeno 700, senza contare tutta la piccola rete sommersa, e continuano a crescere del 40% ogni anno. La spinta di base che ne guida la creazione è la necessità di un cambiamento profondo nel nostro stile di vita, in direzione di un consumo più critico e più esigente in materia di qualità, eticità e equità. Una scelta di consumo che rispetti l’uomo e l’ambiente, secondo canoni di sostenibilità e solidarietà, che prediliga i produttori vicini (a “km Zero”) e che operi in maniera corretta e trasparente.
In estrema sintesi: “piccolo, locale e solidale” sono le parole d’ordine che risuonano dietro ad ogni GAS, il “dogma” inviolabile espresso nel “Documento Base dei GAS” del 1999. La critica va quindi al mondo della grande distribuzione e al sistema dei grossisti, che “strozzano” i produttori costringendoli a prezzi sempre più bassi e, quindi, a ridurre i costi di produzione, ovvero qualità della materia prima e salario della manodopera.
Non è dunque il risparmio la molla che spinge alla creazione di un GAS o, almeno, non inteso come risposta al carovita: l’attenzione al costo deve sottostare ad una serie di principi che rappresentino entrambe le parti in causa, il produttore e il consumatore, nel rispetto, da un lato, del lavoro e dei costi di produzione, dall’altro, della qualità e dell’effettivo valore del prodotto finale.
Un obiettivo che si raggiunge conoscendo di persona il produttore cui si decide di affidarsi, osservandolo e spesso addirittura guidandolo nella creazione di un prodotto che risponda alle richieste economiche, qualitative e produttive espresse dal GAS. Eliminando il problema dell’invenduto, riducendo i costi degli intermediari, degli spostamenti e di conseguenza degli imballaggi, il prezzo inevitabilmente scende.
Un sistema che fa bene a tutti, insomma: produttori, consumatori e ambiente. E allora, a chi può non piacere? Al mercato tradizionale, ovvio. Senza contare che, oltre al cibo, i GAS iniziano a far sentire la propria presenza anche in ambiti come quelli della telefonia e delle energie alternative. Il perché lo spiegano bene Giancarlo Marini e Michele Bernelli, autori de “L’altra spesa. Consumare come il mercato non vorrebbe”, il libro che racconta l’esperienza dei GAS e ne analizza i rischi e le prospettive di sviluppo.
Ma in che misura il mercato tradizionale può sentirsi effettivamente minacciato dai GAS? Per il momento, a cadere sono state soprattutto le teste del Made in China e della delocalizzazione, in favore di un Made in Italy di qualità; inoltre, ci sono stati casi in cui i GAS hanno persino contribuito a migliorare il panorama dei prodotti presenti nella grande distribuzione, spostando la domanda verso il biologico, l’ecosostenibile e la filiera corta. Ne è un esempio il caso dei pannolini biodegradabili della WIP di Arezzo, creati dai terzisti e che ora sono stati acquistati anche dal gruppo francese Carrefour.
Insomma, come affermano Marini e Bernelli, cambiare il mondo è possibile se si ragiona che “ogni acquisto equivale ad un voto”. E se vi siete convinti che partecipare a un gruppo o addirittura a fondarne uno tutto vostro sia la scelta giusta, ricordate che l’appartenenza ad un GAS ha anche i suoi doveri: in realtà, si tratta solo di un po’ di tempo da dedicare alle riunioni periodiche di acquisto e di riflessione, oltre all’impegno nella gestione della spesa e degli ordini. Insomma, nulla di più del tempo che dedichereste alla combattuta spesa del weekend al supermercato. Solo che qui sarà tutto più solidale.