Fare il vino è un’arte. Ci vogliono tempo, pazienza, intuizione e anche un pizzico di fortuna. Perché spesso basta poco per rovinare tutto. Certamente un vino buono lo si riconosce ad occhi chiusi, ma nella società dell’immagine anche l’aspetto conta: e l’etichetta è determinante in questo senso, soprattutto se alle spalle non si ha un nome blasonato…
Come si sceglie un vino? Per un consiglio, per l’azienda, per le uve, per il prezzo, e, sì, alla fine anche per l’etichetta. E non c’è niente di male: la nostra è una società dove tutto si misura sulla base dell’appeal grafico ed è legittimo premiare chi, dopo la cantina, si è impegnato anche nel dare al vino un’immagine rappresentativa dell’azienda e della sua filosofia. Perché un’etichetta ben fatta non è solo il risultato di un riuscito lavoro di grafica, ma è prima di tutto la sintesi di un connubio perfetto tra due forme d’arte: quella della viticoltura e quella figurativa. Cosa, infatti, meglio del vino rappresenta la potenza culturale addomesticatrice dell’uomo, che trasforma un prodotto naturale, l’uva, in qualcosa di totalmente nuovo e “umano”? E ciò non è forse lo stesso che fa l’arte, che riproduce la realtà naturale filtrandola attraverso un punto di vista, quello dell’artista, culturale?
E poi, proprio come l’arte, il vino è convivialità, dibattito, passione. È per questo che artisti figurativi hanno finito addirittura per diventare vignaroli. In Italia è il caso di Sandro Chia (Castello Romitorio) che, nato pittore, diventa anche apprezzato produttore di vino; di Carlo Hauner, designer rapito dal fascino delle Eolie e dei suoi vini, o di Bibi Graetz (Castello di Vincigliata), una “testa matta” dell’arte prestata alla viticoltura: nel fare il vino hanno saputo ritrovare quella dimensione dionisiaca che guida lo spirito artistico e con le loro etichette caratteristiche vogliono esprimere il prodotto, il lavoro che c’è dietro e, soprattutto, il suo carattere.
Niente di strano, quindi, se sono state frequenti le incursioni degli artisti nel mondo del vino. Quello che le aziende richiedono all’artista è l’interpretazione istintuale e diretta della propria essenza che solo l’arte sa dare: un messaggio di integrità e coerenza che vogliono sia chiaro e riconoscibile a tutti i loro clienti. Il caso più celebre è di certo quello di Château Mouton Rothschild che dal 1945 ha richiesto per i suoi Bordeaux Grand Cru la firma dei più grandi artisti contemporanei, come Georges Braque (1955), Salvator Dalì (1958), Joan Mirò (1969), Marc Chagall (1970), Wassily Kandinsky (1971), Roberto Matta (1962), Pablo Picasso (1973), Andy Warhol (1975), Francis Bacon (1990), Robert Wilson (2001), per quello che si potrebbe definire uno scambio di abilità, visto che la ricompensa per l’artista prevede vari cartoni di Gran Vin.
Non mancano esempi neppure in Italia. Alfredo Currado e Luciana Vietti, appassionati d’arte, dopo una serata in compagnia di amici artisti, decisero di nobilitare alcuni dei loro vini con etichette d’artista: dall’annata 1971 hanno iniziato a commissionare ad autori diversi il compito di rappresentare visivamente le caratteristiche di ogni annata. Per loro hanno lavorato Claudio Bonichi (Barbaresco annata 1971), Mino Maccari (Barolo 1971), Pier Paolo Pasolini (Nebbiolo d’Alba 1974) e, dal 1988, in occasione della presentazione del Barolo Villero 1982, Pierflavio Gallina (1989), Janet Fish (1990), Wayne Thiebaud (1997) e Jerry N. Uelsmann (2001), che hanno firmato i loro grandi Barolo.
C’è poi l’iniziativa della Cantina Umberto Cesari che coinvolge i giovani artisti emergenti nella realizzazione di un’opera visiva destinata a raffigurare l’immagine dell’azienda vinicola emiliana. Sei anni dopo l’etichetta “Le Bagnanti” disegnata da Giorgio Morandi, è stato presentato il concorso MOMA – MyOwnMAsterpiece, in collaborazione con Design Center Bologna, Accademia di Belle Arti di Bologna e Accademia di Belle Arti di Ravenna, destinato alla realizzazione delle etichette dei vini più giovani dell’azienda, il cui vincitore sarà premiato con una borsa di studio.
Un altro caso di felice collaborazione tra artista e viticoltore è poi quello di Pier Paolo Monti, produttore di vini piemontesi, ed il fotografo Tom Sandberg, in mostra permanente al Museo Nazionale d’Arte Moderna di Oslo. Tra loro è scattato un vero “colpo di fulmine artistico” che li ha portati nel 2007 a presentarsi alla rassegna Barolo Photograph Edition. La sofisticata e sensuale fotografia di Sandenberg, con i suoi toni del bianco e del nero che si riflettono e risplendono d’argento, vestono in modo enigmatico, raffinato e sensuale le bottiglie di Barolo di Monti, in un intrigante incontro di passione e perdizione.
Può succedere, poi, che l’etichetta diventi qualcosa di più, come un segno di pace: è il caso della Cantina Produttori Cormòns, in Friuli, che per il suo progetto “Vino della pace” ogni anno commissiona a tre artisti diversi un’etichetta che andrà a “vestire” la bottiglia di un vino speciale, ottenuto dalle uve di 550 varietà di vitigni provenienti da ogni parte del mondo, vendemmiate contemporaneamente da cittadini di vari Paesi e destinate come messaggio di pace ai potenti della terra. Dal 1985 le etichette della pace sono state fimate da nomi celebri come Enrico Baj e Arnaldo Pomodoro (nel 1985), Giacomo Manzù (nel 1989), Mimmo Rotella (nel 1991), Robert Rauschenberg (nel 1997), Fernando Botero (nel 2007), Piero Gilardi (nel 2009) ed arricchite con le parole, le poesie e le canzoni dei più grandi poeti, scrittori e cantanti contemporanei.
E visto che dietro ad ogni pezzo unico incombe sempre il collezionista, le bottiglie “griffate” da etichette d’artista si prestano bene anche come cimeli per aste di beneficienza. Ne è un esempio quella promossa dalla Casa vinicola Avide di Comiso che realizza, con una tiratura limitata di 4.000 bottiglie, una serie di 12 etichette “firmate” da personaggi illustri (tra cui Antonella Affronti, Luciana Anelli, Aurelio Caruso, Orazio D’Emanuele, Pippo Giambanco, Gilda Gubiotti, Paolo Malfanti, Franco Nocera, Antonino G. Perricone, Salvatore Provino, Turi Sottile, Giusto Sucato e autori come Andrea Camilleri, Marcello Fois, Carlo Lucarelli), per vestire il Cerasuolo di Vittoria “Barocco” DOC e l’Insolia DOC “Riflessi di Sole”: le bottiglie vengono poi battute in aste filantropiche come quelle organizzate dal progetto Wine for Life della Comunità di Sant’Egidio per l’Africa.
Insomma, anche in quel piccolo rettangolo di carta si può nascondere una grande opera d’arte. Ma l’opera è completa se anche il contenuto della bottiglia è prezioso. Fuggite quindi dalle facili soluzioni: solo quando il matrimonio è d’amore sincero l’etichetta può parlare e raccontare di quel vino, di cosa sa regalare, di chi l’ha fatto e come. Altrimenti resta solo un bel pezzo di carta.
di Flavia Rendina
(pubblicato su Aroma di maggio/giugno 2011)