Per i pochi golosi che ancora non lo conoscessero il trapizzino (marchio registrato), inventato una decina d’anni fa dal pizzaiolo romano Stefano Callegari, è una tasca di pizza bianca chiusa sui lati realizzata con un impasto di farina di grano tenero e lievito madre. In altre parole si tratta di un angolo di pizza farcito con le ricette tipiche della cucina mediterranea, romana e internazionale da gustare a Roma, Milano, Firenze e persino oltreoceano. I gusti, tra gli storici e le novità, possono essere i più svariati spaziando dal pollo alla cacciatora alla lingua in salsa verde, dalla stracciatella di burrata con alici alle polpette al sugo, dallo zighinì fino alla trippa alla romana o la padellaccia di maiale.
“L’idea dei trapizzini è di quelle che sono destinate a successo e imitazioni in Italia e all’estero, ma l’originale, poiché gioca sulla qualità delle materie prime, vince sempre. Stefano Callegari ha un quaderno dove annota le ricette di mamma, zie e signore che cucinano romano e così ecco le seppie con piselli, il pollo coi peperoni, il trapizzino col garofolato, quello col picchiapò e avanti coi piatti romani e con questo modo divertente e giocoso di provarli senza l’obbligo della tavola apparecchiata” .
Per dirla con le parole profetiche di Stefano Bonilli, voce autorevole del giornalismo gastronomico, che già nel 2005 – quando Stefano Callegari aprì il suo primo locale Sforno, seguito dalla prima pizzeria al taglio 00100 a Testaccio – aveva intuito il potenziale innovativo di questa scarpetta da asporto, capace di racchiudere in un boccone triangolare tutto il sapore esplosivo di un sugo di casa.
Ma qual è il segreto di questo originale street food che in pochi anni è riuscito a diventare un classico conquistando i palati di mezzo mondo? Semplice, il trapizzino è fatto innanzitutto con la pizza bianca morbida dentro e croccante fuori (focaccia): gli ingredienti di base sono farina 00 e semi integrale macinata a pietra, lievito madre del Sud Italia bicentenario (!), olio extravergine di oliva e “tempo”, anch’esso un elemento fondamentale in quanto la lievitazione richiede una durata di almeno 20 ore. Per fare dieci trapizzini ci vogliono infatti ben due giorni: attesa dell’impasto, fasi di lievitazione, cotture pazienti in particolare delle carni in umido rendono la preparazione artigianale lunga e accurata.
Le farciture si distinguono per il loro carattere marcato, vedi il caso dei sapori romani, protagonisti assoluti nei condimenti, realizzati con prodotti sceltissimi secondo i dettami rigorosi della tradizione, su tutti la coda alla vaccinara, che Stefano considera la sua prova più riuscita.
Insomma, a qualche anno dalla sua prima apparizione, il trapizzino è divenuto una star golosa dal carisma internazionale, apprezzata a New York così come a Tokyo, dove è riuscito ad affermarsi come un nuovo stile culinario, portando con sé tutta la gioia golosa delle cucina tradizionale italiana, concentrata in un irresistibile triangolino bello a vedersi e ottimo a gustarsi.